Entro questo contesto si pongono le linee di spiritualità della tenerezza che emergono dall’AL.
Mi limito a enumerarne sei:
- la tenerezza nuziale come cammino dinamico-graduale;
- la tenerezza nuziale come maturità affettiva;
- la tenerezza nuziale come relazione intima;
- la tenerezza nuziale come fecondità amante;
- la tenerezza nuziale come estetica spirituale dell’amore;
- la tenerezza nuziale come evento di carità teologale.
- La tenerezza nuziale come cammino dinamico-graduale
Sposarsi “nel Signore”, significa essere posti nella nuzialità del Cristo-Sposo con la Chiesa-sua-Sposa e accettare di ri-sposarsi ogni giorno, riscegliendosi e ri-innamorandosi a ogni stagione della vita.
Il sacramento delle nozze costituisce un grande viaggio: un viaggio che sgorga da Dio-Trinità-di-Amore, si modella su Dio-Trinità-di-Amore e va verso Dio-Trinità-di-Amore.
Un viaggio da costruire giorno per giorno: non è stasis, ma ex-stasis.
Di qui l’urgenza di presentarlo, come spiega AL,
“come un cammino dinamico di crescita e di realizzazione,
e non un peso da sopportare” (AL 37).
Presentare dunque l’ideale del matrimonio in tutta la sua bellezza e grandezza, ma fare tutto questo con grande umanità e con la pazienza di un percorso che esige una sua gradualità.
Proclama magnificamente l’AL:
“Non si deve gettare sopra due persone limitate il tremendo peso di dover riprodurre in maniera perfetta l’unione che esiste tra Cristo e la sua Chiesa, perché il matrimonio come segno implica un processo dinamico, che avanza gradualmente con la progressiva integrazione dei doni di Dio” (n.122).
Una cosa dev’essere chiara, secondo l’AL, l’amore che i due si promettono il giorno delle nozze supera i livelli della sola emozione o dei soli stati d’animo, pur includendoli.
“È un voler bene più profondo, con una decisione del cuore che coinvolge tutta l’esistenza. Così… si mantiene viva ogni giorno la decisione di amare, di appartenersi, di condividere la vita intera e di continuare ad amarsi e perdonarsi” (n.164).
- La tenerezza nuziale come maturità affettiva
Si è già entrati, a questo punto, nella questione decisiva: orientare coloro che si sposano a una vera maturità affettiva, in grado di superare la “cultura del provvisorio” imperante oggi, e rendere gli sposi stabili nella loro relazione affettiva.
“Mi riferisco alla rapidità con cui le persone passano da una relazione affettiva a un’altra.
Credono che l’amore, come nelle reti sociali, si possa connettere o disconnettere a piacimento del consumatore e anche bloccare velocemente.
Si trasferisce alle relazioni affettive quello che accade con gli oggetti e con l’ambiente: tutto è scartabile, ciascuno usa e getta, spreca e rompe, sfrutta e spreme finché serve. E poi addio” (n.39).
Già l’Evangelii Gaudium, aln.66, aveva accennato alla crisi culturale profonda che attraversa i legami sociali; ci si trova, come direbbe Bauman, in una “società liquida”, priva di solidità; il che spiega la fragilità con cui è vissuta la relazione di coppia.
Spiega papa Francesco:
“I Padri sinodali hanno fatto riferimento alle attuali tendenze culturali che sembrano imporre un’affettività narcisistica, instabile e mutevole che non aiuta sempre i soggetti a raggiungere una maggiore maturità….
Molti sono coloro che tendono a restare negli stadi primari della vita emozionale e sessuale…” (n.41).
Un analfabetismo affettivo che contrassegna la vita della coppia ed è all’origine di tante crisi di coppia, come spiega la nostra esortazione:
“Le stesse crisi coniugali frequentemente sono affrontate in modo sbrigativo e senza il coraggio della pazienza, della verifica, del perdono reciproco, della riconciliazione e anche del sacrificio.
I fallimenti danno, così, origine a nuove relazioni, nuove coppie, nuove unioni e nuovi matrimoni, creando situazioni famigliari complesse e problematiche per la scelta cristiana” (n.41)
A proposito di crisi coniugali, l’AL introduce una rilettura molto interessante dell’indissolubilità del matrimonio:
“L’indissolubilità del matrimonio, non è da intendere anzitutto come un “giogo” imposto agli uomini, ma come un “dono” fatto alle persone unite in matrimonio (n. 62).
Papa Francesco vede l’indissolubilità come un dono fecondo che garantisce la stabilità della coppia, oltre il fluttuare degli alti e bassi, e offre la grazia di poter ricominciare ogni volta.
Il concetto d’indissolubilità non dev’essere ridotto solo all’obbligo di non-separarsi, ma va compreso come un “dono” che rimanda
1°. a un vincolo permanente che viene da Dio, inserisce gli sposi nell’alleanza indistruttibile di Cristo con la Chiesa e garantisce l’esistenza degli sposi, oltre l’alternarsi delle emozioni passeggere;
2°. a un dono di Dio indirizzato a sostenere gli sposi che consente loro di rinnovare il loro amore ogni giorno e a ogni stagione della vita.
Il “tutto” e il “per sempre” delle nozze cristiane non è dunque l’espressione di un giuridismo che uccide, ma un accadimento di grazia che nobilita l‘amore degli sposi e lo rende costantemente nuovo, creativo, in grado di rinascere a ogni svolta della loro esistenza nuziale.
Grazie a questo dono gli sposi possano avere la certezza che ogni situazione – persino l’eventuale tradimento – può essere superato.
Il matrimonio-sacramento infatti si fonda sulla fedeltà di Dio, non sulle nostre deboli forze. E tale è il contenuto positivo dell’indissolubilità del matrimonio.
- La tenerezza nuziale come intimità gioiosa
La tenerezza è descritta dall’ AL come vocazione all’amore sentito, espresso nel linguaggio delle carezze, fino a fare della relazione intima una celebrazione in atto del sacramento delle nozze.
Viene superata ogni concezione fobica della sessualità coniugale. Un dato di fatto che non è mancato nella storia della tradizione cristiana.[12] Scrive papa Francesco:
“L’unione sessuale, vissuta in modo umano e santificata dal sacramento, è per gli sposi via di crescita nella vita della grazia. È il ‘mistero nuziale’. Il valore dell’unione dei corpi è espresso nelle parole del consenso, dove i coniugi si sono accolti e si sono donati reciprocamente per condividere tutta la vita. Queste parole conferiscono un significato alla sessualità, liberandola da qualsiasi ambiguità” (AL 74).
Solo la tenerezza è in grado di canalizzare le pulsioni fisiche e la stessa sensibilità affettiva in un quadro di scambio relazionale, connotato da altruismo, premura e attenzione al partner e alla sua bellezza, fino a condurre a desiderare il desiderio dell’altro.
La sessualità coniugale attinge il suo più alto contenuto quando è segno di tenerezza e aiuta a crescere nella tenerezza; in caso contrario, finisce per essere svuotata del suo contenuto e smarrisce il suo significato unitivo specifico.
Lo spiega perfettamente un autore contemporaneo, E. Fuchs:
“Fra il desiderio e la sessualità si apre una via di umanizzazione nella quale la tenerezza, che è riconoscimento stupito dell’alterità dell’altro, dà significato al desiderio e il desiderio, forza di vita e dono di gioia, diventa sorgente di ogni tenerezza possibile”.[13]
Non è forse questo l’atteggiamento di fondo che emerge dall’insieme del Cantico dei cantici e dai suoi stupendi poemi nuziali?
Afferma papa Francesco:
“Il rifiuto delle distorsioni della sessualità e dell’erotismo non dovrebbe mai condurci a disprezzarli o a trascurarli…
Ricordiamo che un vero amore sa anche ricevere dall’altro, è capace di accettarsi come vulnerabile e bisognoso, non rinuncia ad accogliere con sincera e felice gratitudine le espressioni corporali dell’amore nella carezza, nell’abbraccio, nel bacio e nell’unione sessuale” (n.157)
Il testo lascia intravedere l’ABC della tenerezza: abbracci, baci, carezze.
Il contrario: TCC: televisione, computer, cellulare.
Sotto ogni profilo, dunque, l’AL presenta un visione estremamente positiva della sessualità.
“Dio stesso ha creato la sessualità come un regalo meraviglioso per le sue
creature” (n.150).
“Pertanto, in nessun modo possiamo intendere la dimensione erotica dell’amore come un male permesso o come un peso da sopportare per il bene della famiglia, bensì come dono di Dio che abbellisce l’incontro tra gli sposi” (n.152).
- La tenerezza nuziale come fecondità amante
Non meno interessante è il temadella fecondità.
“L’amore dà sempre vita. Per questo, l’amore coniugale ‘non si esaurisce all’interno della coppia […]. I coniugi, mentre si donano tra loro, donano al di là di se stessi la realtà del figlio, riflesso vivente del loro amore, segno permanente della unità coniugale e sintesi viva ed indissociabile del loro essere padre e madre’” (n.165, citando FC 96).
L’ALapre a una comprensione della fecondità nuziale più ampia rispetto alla sola fertilità. Secondo l’AL, la fecondità nuziale è:
- generare la presenza di Dio nel coniuge;
- generare il coniuge come persona amata;
- generare i figli come dono concesso da Dio in affido ai genitori;
- generare la famiglia come comunità in missione (“in uscita”).
4.1. Generare la presenza di Dio nel coniuge.
La prima forma di fecondità nuziale è data dal generare la presenza di Dio nel partner e quindi nella relazione di coppia.
E tale è la vera fecondità , da ricercare, oltre la sola fertilità: far abitare Dio nel nel cuore della tenerezza di coppia, amandosi in Lui e rinnovandosi ogni giorno nel suo amore.
Fin dal momento in cui i due si sposano non sono soli; sono già in tre: è Dio che li ha condotti a incontrarsi e li consegna l’uno all’altra, come è avvenuto fin dall’origine.
Il sacramento delle nozze si fonda su questa consapevolezza: “Amandosi nel Signore gli sposi si donano Dio stesso; ed egli scende tra loro. La sua presenza inabita la co/presenza degli sposi”.[14]
Ecco dunque la prima fecondità: quando ognuno fa risplendere Dio nel volto del coniuge e, insieme, i due sposi vivono alla sua presenza, lo riconoscono e lo lodano con tutta la loro vita.
Quello che non riuscì a Adamo e Eva, è stato reso possibile da Cristo nella Chiesa. E tale è il “mistero grande” delle nozze (Ef 5,32).
4.2. Generare il coniuge come persona amata.
Generare Dio nel vissuto nuziale è al tempo stesso un generarsi a vicenda: una generarsi come persone che si sentono reciprocamente amate e apprezzate.
La prima grande fecondità non è data dalla nascita dei figli, ma dalla nascita di quel “noi” in cui ognuna è unica per l’altra.
E tale è il primo neonato, quando ognuno si sente accolto dall’altro, si dona all’altro e insieme condividono il divenire “una sola carne”.
Lo Spirito Santo è effuso sugli sposi perché siano in grado di realizzare questa comunione di cuori, dove ognuno si percepisca al tempo stesso come amato-amante-amore per l’altro/a, analogamente a quanto avviene nel grembo di Dio-Trinità-di-Amore.
4.3. Generare i figli come figli in affido.
Questa forma di generazione vale, in diverso modo, per i figli: relazionandosi con i genitori e i genitori con loro, tutti con/nascono insieme, in una relazione di reciprocità che fonda il loro diventare un “noi”, una “comunione di persone” a immagine di Dio-Trinità.
Alla sorgente della generazione di un figlio sta Dio: è Lui il Creatore e il Donatore che suscitata la vita nel grembo della madre in forza dell’atto di amore degli sposi.
I genitori sono “cooperatori con Dio in ordine al dono della vita a una nuova persona”, sono suoi “collaboratori” e “interpreti del suo amore”, ma i figli sono anzitutto figli di Dio (GS 50), come spiega il Catechismo della Chiesa Cattolica. “I genitori devono considerare i loro figli come figli di Dio” (CCC 2222).
I genitori non “fanno” i figli, come si usare dire, ma li ricevono da Dio-Trinità, come un miracolo di amore e un dono senzafine.
E dal momento che li ricevono, i genitori non sono padroni dei figli; ne sono i custodi, li accolgono come in affido, con il compito di proteggerli, difenderli, aiutarli a crescere, contribuire a far discernere la vocazione cui sono chiamati, ma non essi non possono pretendere un’autorità assoluta sulla loro vita.
Ogni figlio che nasce è una parola di Dio incarnata e un’icona vivente della sua eterna tenerezza.
Ciò dice, tra l’altro, l’assurdità dell’aborto:uccidere una vita è colpire il cuore stesso di Dio e presume di mettersi al di sopra di Lui.
4.4. Generare la famiglia come comunità in missione.
La comunità familiare che nasce dalle prime tre forme di fecondità è una comunità in missione, chiamata a proclamare a tutti il dono di essere sposi nel Signore e il significato della vita.
Ogni vera fecondità deve condurre a generare Dio nei figli e a farli crescere secondo il suo cuore.
La Familiaris Consortio arriva a dire che solo per questa via i genitori “diventano pienamente genitori”:
“Pregando con i figli, dedicandosi alla lettura della parola di Dio e inserendoli nell’intimo del corpo eucaristico ed ecclesiale di Cristo con l’iniziazione cristiana, i genitori diventano pienamente genitori, generatori cioè anche di quella vita che scaturisce dalla pasqua di Cristo” (FC 39).
Ed è allora che la comunità familiare attua la sua ultima dimensione di fecondità nuziale: “generare” la civiltà della vita e dell’amore (LF 13), facendosi testimonianza vivente dell’amore trinitario sulle strade del mondo.
“La famiglia è l’ambito non solo della generazione, ma anche dell’accoglienza della vita che arriva come dono di Dio. Ogni nuova vita ci permette di scoprire la dimensione più gratuita dell’amore, che non finisce mai di stupirci” (AL 166).
Ora, se la fecondità è accoglienza della vita, anche quando la procreazionefisica (fertilità) non si realizzasse, per ragioni indipendenti dalla volontà dei coniugi, non per questo la vocazione alla fecondità perderebbe il suo significato.
Il Concilio Vaticano II e la Familiaris consortio, a titolo esemplificativo, indicano le direzioni verso cui può essere orientata una tale forma di fecondità, oltre la sola fertilità.
“Adottare come figli i bambini abbandonati, accogliere con benevolenza i forestieri, dare il proprio contributo nella direzione delle scuole, assistere gli adolescenti con il consiglio e con mezzi economici, aiutare i fidanzati, sostenere i coniugi e le famiglie materialmente e moralmente in pericolo, provvedere ai vecchi“(AA 11; FC 14).
La testimonianza vissuta di tante coppie sterili attesta a quali cime possa arrivare questo tipo di fecondità nuziale, anche quando non sia accompagnata dal dono di figli propri.
- La tenerezza nuziale come estetica spirituale dell’amore
Un’ulteriore coordinata dell’AL è l’ottica della bellezza: la tenerezza intesa come estetica spirituale dell’amore. “Tenerezza” e “bellezza” infatti sono inseparabili. Ha ragione Agostino quando scrive che: “Noi non possiamo amare nient’altro che ciò che è bello”[15]. E aggiunge: “Unicamente il bello può essere amato”[16].
La via della bellezza (via pulchritudinis) è la via propria, imprescindibile e strutturale, per l’esperienza della tenerezza.
L’esortazione di papa Francesco lo rileva sotto avari aspetti.
Al n. 127 rileva come
“La bellezza – “l’alto valore” dell’altro che non coincide con le sue attrattive fisiche o psicologiche – ci permette di gustare la sacralità della sua persona senza l’imperiosa necessità di possederla…
La tenerezza è una manifestazione di un amore che libera dal desiderio egoistico di possesso… L’amore per l’altro implica il gusto di contemplare e apprezzare ciò che è bello e sacro del suo essere personale, e che ella esiste al di là dei miei bisogni”.
Al n.128 rilava il valore dello sguardo:
“L’esperienza estetica dell’amore si esprime in quello sguardo che contempla l’altro come un fine in se stesso, quand’anche sia malato, vecchio o privo di attrattive sensibili…
Molte ferite e crisi hanno la loro origine nel momento in cui smettiamo di contemplarci. Questo è ciò che esprimono alcune lamentele che si sentono nelle famiglie. “Mio marito non mi guarda, sembra che per lui io sia invisibile”. “Per favore, guardami quando ti parlo”. “Mia moglie non mi guarda più, ora ha occhi solo per i figli”. “A casa mia non interesso a nessuno e neppure mi vedono, come se non esistessi”. L’amore apre gli occhi e permette di vedere, al di là di tutto, quanto vale ogni essere umano”.
- La tenerezza nuziale come evento di carità teologale.
Il capitolo IV dell’AL è interamente dedicato all’amore nel matrimonio,
- mostra come la grazia del sacramento del matrimonio sia indirizzata “a perfezionare l’amore dei coniugi” (n. 89)
- e dice come la grazia trasfiguri gli sposi a immagine dell’amore divi, testimoniato da Paolo nel celebre inno alla carità (n. 90).
La carità è paziente,
benevola è la carità;
non è invidiosa,
non si vanta,
non si gonfia d’orgoglio,
non manca di rispetto,
non cerca il proprio interesse,
non si adira,
non tiene conto del male ricevuto,
non gode dell’ingiustizia
ma si rallegra della verità.
Tutto scusa,
tutto crede,
tutto spera,
tutto sopporta» (1 Cor 13,4-7).
L’inno paolino è un programma che “si vive e si coltiva nella vita che condividono tutti i giorni gli sposi, tra di loro e con i loro figli. Perciò è prezioso soffermarsi a precisare il senso delle espressioni di questo testo, per tentarne un’applicazione all’esistenza concreta di ogni famiglia” (AL 90).
Il documento di papa Francesco approfondisce il riferimento di ognuno di queste attitudini in relazione alla coppia/famiglia, dando vita a uno splendido capitolo di teologia spirituale della coniugalità.
Pazienza
Benevolenza
Guarendo l’invidia
Senza vantarsi o gonfiarsi
Amabilità
Distacco generoso
Senza violenza interiore
Perdono
Rallegrarsi con gli altri
Tutto scusa
Ha fiducia
Spera
Tutto sopporta.
Un vero trattato di spiritualità nuziale.
“L’inno di san Paolo, che abbiamo percorso, ci permette di passare alla carità coniugale. Essa è l’amore che unisce gli sposi, santificato, arricchito e illuminato dalla grazia del sacramento del matrimonio. È un’unione affettiva, spirituale e oblativa, che raccoglie in sé la tenerezza dell’amicizia e la passione erotica”(n.120).
“La tenerezza dell’amicizia e la passione erotica”: due dimensioni che caratterizzano in profondità l’amore nuziale secondo l’AL:.
1°. Amicizia tra gli sposi.
“L’amore coniugale è la ‘più grande amicizia’. E’ un’unione che possiede tutte le caratteristiche di una vera amicizia: ricerca del bene dell’altro, reciprocità, intimità, tenerezza, stabilità… che si va costruendo con la vita condivisa.
2°. Passione erotica.
Naturalmente “il matrimonio aggiunge a tutto questo un’esclusività indissolubile, che si esprime nel progetto stabile di condividere e costruire insieme tutta l’esistenza” (n. 123).
Nasce da questa dinamica (della tenerezza dell’amicizia e della passionalità) la comunità della famiglia come Chiesa domestica e segno profetico nel mondo:
“Il matrimonio cristiano, riflesso dell’unione tra Cristo e la sua Chiesa, si realizza pienamente nell’unione tra un uomo e una donna, che si donano reciprocamente in un amore esclusivo e nella libera fedeltà, si appartengono fino alla morte e si aprono alla trasmissione della vita, consacrati dal sacramento che conferisce loro la grazia per costituirsi come Chiesa domestica e fermento di vita nuova per la società” (n. 292).
Conclusione
Sotto ogni profilo la famiglia appare, nell’Amoris Laetitia, come una comunità della tenerezza di Dio, chiamata a farsi il luogo primario di tenerezza verso ogni essere che viene a questo mondo.
Parlare di “parabola di tenerezza” significa riferirsi a tutto questo e dice la famiglia come un progetto di tenerezza da costruire giorno per giorno, posto tra il “già” il “non ancora”: un progetto già dato per grazia,ma da costruire con impegno giorno dopo giorno.
“Famiglia diventa ciò che sei” (FC 17)
Concludo facendo mie le parole del libro delle “Odi di Salomone”, risalente al terzo secolo, rivolte specialmente agli sposi:
“Amatevi con tenerezza voi che vi amate”.
L’autore non si limita a dire “amatevi”, ma ”amatevi con tenerezza”. La tenerezza costituisce il cuore di Dio-Trinità-di-Amore ed è il cuore di ogni famiglia. Una comunità familiare senza tenerezza sarebbe come un corpo senza anima.Faccio e parole dell’anonimo autore del terzo secolo e le rivolgo a tutti voi: “Amatevi con tenerezza voi che vi amate”. [17]
don Carlo Rocchetta