I talloni d’Achille delle mogli

Una delle accuse che spesso mi viene rivolta dai lettori del blog è proprio che tendo a bacchettare l’uomo, il maschio, il marito. Quasi come se tutti i problemi dipendessero dal tapino che ha avuto in dotazione i cromosomi XY. Forse un po’ di verità c’è perchè io (Antonio) sono l’autore di molti articoli e tendo ad esaminare gli errori dal mio punto di vista maschile. Oggi mi rivolgerò invece alle signore e scriverò dei loro talloni d’Achille. Prendo sempre spunto dal bel libro di don Carlo Rocchetta La danza degli sposi. Come già fatto nel precedente articolo rivolto ai mariti, don Carlo ha messo in evidenza sei punti di criticità che si nascondono spesso nell’essere donna. E’ naturalmente un elenco molto generale che non accomuna tutte le donne con la stessa intensità.

Determinazione eccessiva. La donna ha un po’ il vizietto di voler decidere cosa fare e come farlo. L’uomo è diverso. L’uomo non ha voglia di discutere e spesso non crede che sia importante mettere i puntini su ogni cosa. Tende a passare sopra tante situazioni. La donna no! Se non si fa come dice lei ecco che comincia il martellamento. Recriminazioni, ricatti, silenzi ecc. ecc. Una donna che ha questo tipo di atteggiamento rischia seriamente di snervare il marito. Il marito, in questo caso, può reagire in due modi, entrambi deleteri per la coppia. Si impunta allo stesso modo e allora la relazione diventa una continua guerra. Si continua a litigare per ogni minima cosa. Oppure si rassegna. Una rassegnazione che diventa frustrazione e poi rancore. Una bomba ad orologeria.

Tendenza ad insegnare. Io ho una moglie insegnante che lo fa quindi di mestiere. Molte donne sono un po’ maestrine anche nel matrimonio. Pensano di sapere meglio del marito cosa sia bene per lui e non esitano a farsi carico di educarlo. Ad alcuni mariti forse sta anche bene così. Alcuni cercano infatti una donna che sia anche un po’ mamma, ma a volte questo atteggiamento può risultare molto irritante. Soprattutto quando reiterato nel tempo. Quando una donna dice al marito – dobbiamo parlare – lui avverte come una sorta di minaccia dietro quella richiesta all’apparenza ragionevole. Attenzione care mogli: l’uomo ha bisogno di una donna che sappia valorizzarlo e non di una che lo sminuisce continuamente.

Ostinazione. L’universo femminile e quello maschile sono molto diversi tra loro e spesso sono addirittura opposti. La donna tende ad essere molto analitica, l’uomo molto più sintetico. La donna si ferma sul particolare perdendo di vista l’universale. L’uomo tende invece ad avere uno sguardo più ampio ma di conseguenza meno attento al particolare. Capita così che episodi familiari possano essere vissuti e percepiti dai due sposi in modo molto diverso. La donna tende ad esagerare e a fare di un piccolo incidente una catastrofe. L’uomo tende invece a non vedere dei problemi dove magari ci sono davvero. Questo crea conflitto. La moglie si ricorda cose che l’uomo ha dimenticato e se le ricorda più gravi di quello che realmente sono. Non solo le ricorda ma le rinfaccia al marito, se crede che la responsabilità sia dell’uomo. Con il tempo, e con il sommarsi dei rimbrotti, lo sposo può reagire a questa situazione in due modi entrambi negativi: si defila o diventa insensibile (vedi articolo sui mariti).

Vittimismo. Diciamolo, a volte la donna sa essere davvero pesante. Non ditelo a mia moglie ma anche lei ogni tanto ci casca. Sembra che non vada mai bene nulla. Ha continuamente bisogno di conferme affettive. Ha bisogno di essere capita nelle sue difficoltà e sofferenze. Va bene. E’ giusto. Diventa però pesante quando esagera. Donne ricordatevi di non assillare troppo vostro marito. Trovate magari il momento giusto per parlare e lamentarvi. Non “aggreditelo” appena lo vedete rientrare a casa, oppure troverà modo di rientrare sempre più tardi. Naturalmente scherzo, ma non troppo.

Narcisismo materno. L’arrivo di un figlio è uno tsunami per la coppia. Lo abbiamo sempre detto anche noi. La mamma ha la tentazione di vivere una relazione quasi esclusiva con il neonato. Lo sente parte di sè, anche perchè per nove mesi è stato davvero dentro di lei. Questo può essere molto dannoso per la coppia. Non solo il padre può essere messo un po’ in un angolo e sentirsi escluso da questo rapporto strettissimo a due tra madre e figlio, ma anche la relazione di coppia può subire dei contraccolpi. La neomamma potrebbe trascurare il marito e cercare gratificazione non più nella relazione sponsale ma in quella genitoriale. Senza contare che anche l’attività sessuale potrebbe risentirne pesantemente. Attenzione: per essere delle brave mamme non potete smettere di essere mogli.

Spiritualismo. E’ un argomento che abbiamo già affrontato con i mariti. Spesso la sessualità dopo i primi anni di matrimonio diventa una routine. Ci sono sempre meno momenti di intimità fisica tra gli sposi e sempre meno desiderio di averli. Da entrambi ma dalla donna in particolare. Non c’è desiderio e diventa un obbligo da assolvere sempre più di rado. Abbiamo già messo in evidenza come l’uomo non possa pretendere nulla e debba darsi da fare per sedurre la propria sposa. La donna non può però pensare, se vuole avere un marito contento, di uniformare il tutto ai propri ritmi e desideri. L’uomo ha bisogno di sentirsi desiderato e che sia ogni tanto anche la sua sposa a prendere l’iniziativa.

In questi due articoli abbiamo affrontato i diversi talloni d’Achille di uomo e donna. Senza voler puntare il dito contro nessuno, certi comportamenti sono spesso frutto anche di come si costruisce la relazione insieme, ma con l’obiettivo di permettere un esame di coscienza per comprendere se possiamo fare qualcosa per renderci più amabili e belli per l’altro/a.

Antonio e Luisa

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I talloni d’Achille dei mariti

Il lockdown della primavera passata è stato un periodo davvero complicato e difficile per tutti. Ha prodotto però anche qualche buon frutto. Uno di questi è senz’altro il libro di don Carlo Rocchetta La danza degli sposi. Don Carlo ha scritto innumerevoli testi. Tutti belli e molto interessanti. Non nascondo che per me e Luisa sia un punto di riferimento per quanto riguarda la spiritualità di coppia e l’amore sponsale. Questo libro, rispetto agli altri che ha già scritto, ha un taglio molto più incentrato sulla relazione, sulla differenza sessuale e sulla psicologia dell’uomo e della donna. Quindi un testo meno teologico, anche se la dimensione salvifica e soprannaturale del sacramento è ben presente. Un testo semplice che ha il pregio non solo di far sorgere delle domande, ma anche di dare delle risposte chiare. Risposte frutto della preparazione e dell’esperienza di don Carlo maturata in tanti anni di accompagnamento e di aiuto alle coppie.

Una parte senz’altro interessante riguarda i talloni d’achille dei mariti e delle mogli che si manifestano durante gli anni di matrimonio. E’ importante conoscerli per due motivi: per prendere coscienza che abbiamo un problema e per comprendere che è un problema comune a tanti. E’ insito nel nostro essere maschio e femmina. Quindi senza colpevolizzarci (non siamo cattivi), ma con il desiderio di migliorarci per amore dell’altro/a. In questo articolo, in particolare, mi rivolgo ai mariti. Cercherò di sintetizzare al minimo i concetti. Per approfondire vi consiglio di acquistare il libro, ne vale la pena.

Egocentrismo. La psicologia sembra aver appurato che l’uomo è molto più egocentrico della donna. Soprattutto nell’età giovanile e fino ai 35/40 anni, quando la maturità dovrebbe aiutarlo a migliorare questo suo aspetto. Spesso narcisista, si impegna nella relazione secondo quanto questa lo soddisfa. Valuta più della donna i costi e benefici. Quanto mi conviene donarmi? Cosa ne avrò in cambio? Ne vale la pena? Questo aspetto influenza pesantemente la sessualità. La moglie si sente spesso usata. L’amplesso diventa qualcosa di frettoloso. Spesso l’uomo non si impegna a preparare il terreno. Non dimostra cura e tenerezza, se non nei momenti di intimità sessuale e in quelli immediatamente precedenti.

Aggressività. Non è completamente corretto affermare che l’uomo sia più aggressivo della donna. Usa però un’aggressività più diretta rispetto alla donna. Spesso è frutto della propria storia pregressa. Che dinamiche viveva nella famiglia di origine? E’ frutto anche dell’incapacità di comprendere la propria sposa e della frustrazione derivante dalla situazione di sofferenza che si è creata. Questo non significa giustificare azioni violente, ma evidenziare come spesso tali azioni siano la punta dell’iceberg di una reazione abbastanza comune negli uomini. Senza arrivare per forza alla violenza fisica. Ci sono molti livelli. La donna solitamente esprime la sua aggressività in modo diverso, diciamo indiretto: musi lunghi, silenzi, omissioni. Naturalmente questa è la situazione più comune. Esistono certamente anche uomini che vivono passivamente la propria frustazione in modo quasi depresso e donne che usano violenza verbale e fisica nei confronti del coniuge.

Insensibilità. Anche questo è un tasto dolente. Tante mogli si lamentano perchè il marito non le capisce, non comprende le loro difficoltà e le loro sofferenze. Spesso le ascolta distrattamente e annoiato. L’uomo è portato a valutare le situazioni secondo il suo metro. Quindi alcune difficoltà della moglie gli sembrano esagerazioni. Dovremmo forse smettere di giudicare la situazione e farci prossimi alla sofferenza e alla difficoltà che nostra moglie in quel momento prova. L’uomo spesso valuta l’utilità concreta di perdere tempo ad ascoltare determinati ragionamenti dell’amata. Spesso sempre le stesse lamentazioni. Invece per lei è importante essere ascoltata. Di solito le mogli non pretendono una soluzione da noi mariti, ma desiderano la nostra presenza e vicinanza. Il ragionamento inconscio delle donne è: se condivide con me questa difficoltà significa che mi ama.

Tendenza alla comodità. Siamo così noi uomini. Preferiamo evitare il conflitto e lo scontro. Magari diamo ragione alla nostra sposa e poi facciamo comunque come vogliamo. Questa tendenza si manifesta anche nei lavori di casa. L’uomo tende, nonostante una emancipazione della donna e una parità sempre più vicina tra uomo e donna, a considerare l’impegno a casa e con i figli qualcosa che riguarda soprattutto la moglie. L’uomo tende a considerare ogni attività svolta in casa come un aiuto dato alla moglie e non una collaborazione dovuta. Attenzione anche a questo aspetto. Può generare conflitti e incomprensioni.

Marginalità come padre. Oggi essere padre è molto difficile. La figura del padre è stata spazzata via dalla rivoluzione del 1968 come quella di tutte le figure autorevoli. L’uomo deve imparare ad essere padre. Deve imparare ad essere autorevole ed amorevole nello stesso tempo. Sua moglie non desidera un alter ego e i figli non hanno bisogno di una seconda mamma. Don Carlo afferma che è più difficile diventare padre che madre. La madre lo è già un po’ naturalmente (nove mesi di gravidanza), il padre no. Il padre deve imparare tutto il mestiere. Senza contare poi come l’arrivo di un figlio sconvolga tutti gli equilibri di coppia. Un buon padre e una buona madre sono quelli che prima di tutto non dimenticano di essere coppia, di essere sposi. L’arrivo di un figlio rischia di mettere in crisi l’uomo e di farlo sentire un po’ escluso, in un angolo.

Materialismo sessuale. Infine la cigliegina sulla torta. Perchè la donna spesso ha mal di testa? Cosa ci vuole dire? Quel mal di testa significa: non ho voglia di fare l’amore con te, perchè tu mi fai sentire usata. Mi sai solo usare. Non mi sai amare. Questo accade quando l’uomo non corteggia la propria sposa e la cerca solo per il sesso. Pensa ai fatti suoi tutto il giorno e poi, d’improvviso, diventa la persona più tenera del mondo proprio quando cerca un incontro sessuale. Capite che la donna in questo modo possa sentirsi usata? Non ha tutti i torti. Bruttissimo quando la donna smette di pensare all’intimità come un momento meraviglioso di comunione e lo vive come un obbligo da assolvere.

Voi mariti in quali vi riconoscete? Voi mogli soffrite qualcuno di questi difetti? Pensateci e parlatene. E’ il primo passo per cercare di migliorare la vostra relazione e il vostro matrimonio. Con il prossimo articolo osserveremo i talloni delle mogli. Anche per loro ce ne sono in abbondanza.

Antonio e Luisa

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A suscitare una carezza é quasi sempre un’altra carezza.

Don Carlo Rocchetta in questi giorni difficili ci sta regalando ogni giorno una piccola perla. Una frase, una breve riflessione, che ci racconta qualcosa della tenerezza. Le leggo sempre volentieri e oggi prendo spunto da una di queste frasi. Don Carlo scrive:

A suscitare una carezza é quasi sempre un’altra carezza; e più le carezze si moltiplicano più la tenerezza si accende come un fuoco che scalda e orienta la persona al di sopra di sé, verso l’Alto

Una riflessione che mi ha colpito subito e che ho fatto mia, pensando alla mia relazione. Quanto è vera! Spesso noi, io almeno si, tendiamo a focalizzarci su quello che l’altro fa o dovrebbe fare, sul suo comportamento. Invece forse non dovremmo sprecare energie a giudicare l’altro/a. Non serve e spesso ci porta a vedere solo i difetti. Dovremmo invece scegliere di amare sempre e comunque. Allora, forse, qualcosa nell’altro/a davvero cambia. Io penso a tutte le carezze che la mia sposa mi ha riservato anche quando non me le meritavo. Mi ha sempre amato con lo stile di Gesù, cioè sempre e per prima. Ecco, se ho cambiato qualcosa nel mio atteggiamento nei suoi confronti non è stato per i rimbrotti o per le litigate, ma per quelle carezze incondizionate e a volte immeritate. Da lì è nato in me un sentimento di gratitudine verso di lei, un desiderio di restituire quanto lei mi stava dando. Un amore così bello proprio perchè riesce ad andare oltre le mie miserie e mancanze. Un amore che mi fa alzare gli occhi al Cielo perchè ha il sapore dell’amore del Padre, un amore senza condizioni capace di accogliere tutto di me anche le parti meno belle.

Antonio e Luisa

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Abbraccia il tuo “nemico”

Due coniugi sentono il desiderio di abbracciarsi solitamente quando sono in armonia e in pace tra di loro. Don Rocchetta dice che questo non vale per i cristiani. I cristiani devono trovare la forza nella Grazia del sacramento di abbracciare lo/a sposo/a anche quando vedono nell’altro un nemico, quando le cose non vanno bene, hanno litigato e sono in disarmonia. Non è scontato riuscire in questo, ma noi sposi cristiani abbiamo la Grazia, non dimentichiamolo. Siamo razionali, a volte troppo razionali e non riusciamo a perdonare quando veniamo feriti o litighiamo e pensiamo di aver ragione. Rocchetta ci ricorda che risentimento provoca risentimento in un cerchio che non si interrompe fino a quando uno dei due non lo rompe con un gesto di perdono. Il perdono ha tre benefici principali: uno affettivo che ci permette di ricostruire una relazione con il coniuge, uno cognitivo che ci permette di superare la concezione dell’altro/a come avversario/a e uno comportamentale che permette di passare da un atteggiamento di chiusura a uno nuovo di collaborazione e di ricerca del bene. Cito testualmente quanto Rocchetta scrive nel suo bellissimo testo “Abbracciami”:

Il perdono non banalizza l’amore; al contrario, lo rinnova e purifica la tendenza di ognuno di noi a buttare sull’altro la responsabilità di quanto ci accade.

Concedere il perdono non è un segno di debolezza, ma di forza: la forza di una fiamma tenace come la morte, che le grandi acque non possono spegnere e che valgono più di qualunque ricchezza (Ct. 8, 6-7)

E’ quindi importante perdonare subito senza aspettare che sia l’altro/a a farlo per primo, fregandocene di chi ha ragione, l’abbraccio di perdono è un gesto di vita mentre il non abbraccio è un gesto di morte.

Un abbraccio è capace di cancellare ogni risentimento, di ridare nuova forza e linfa al rapporto di coppia.

Perché per perdonare il gesto più adatto e significativo è l’abbraccio?

Perdono, ci ricorda don Carlo , è un dono perfetto, infatti, il suffisso “per” in latino implica la pienezza e il compimento.

Non c’è nulla di meglio di un abbraccio, perché con tutto il corpo comunichiamo il desiderio di ricostruire il rapporto che si è rotto e comunichiamo la disponibilità a ricominciare con più forza e voglia di prima.

Antonio e Luisa

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Fecondità non è solo fertilità

Quando proponiamo i nostri percorsi ci capita di dover trattare la fecondità nel matrimonio. La fecondità è una delle caratteristiche fondamentali di un matrimonio naturale e, di conseguenza, anche sacramentale. Allora chi non può concepire figli non può sposarsi? Se si sposa è un matrimonio di second’ordine? Nulla di tutto questo! Se una coppia non può concepire figli può comunque essere feconda e vivere un matrimonio pieno. Ciò che impedisce il sorgere del matrimonio non è l’impossibilità di averne, ma la volontà di non averne. Come può una coppia essere feconda anche se non può essere fertile? Ce lo insegna don Carlo Rocchetta che ha trovato ben tre modalità di essere fecondi anche nell’infertilità. Naturalmente queste fecondità riguardano tutti e non solo chi non può avere figli, Tutti gli sposi sono chiamati a viverle. Cercherò di scrivere qualcosa su ognuna di queste modalità di vivere la fecondità.

  1. Generare la presenza di Dio nel coniuge. Vivere la nostra relazione alla luce di Dio. Amare il nostro coniuge con la modalità di Gesù. Quindi amare sempre e amare per primo. Essere capace di perdonare e di incoraggiare. Guardare lo sposo con lo sguardo di Gesù che è innamorato di ognuno di noi e riesce a vedere oltre le nostre miserie e fragilità. Un marito o una moglie capace di guardare così l’altra/o può davvero compiere miracoli nel cuore dell’amata/o. Ci sono persone che si sono convertite non perchè la moglie o il marito hanno insistito e obbligato ma perchè hanno visto l’amore che la moglie o il marito erano capaci di offrire loro e hanno voluto conoscere la fonte di quell’amore. Io stesso, come ho più volte raccontato, ho cercato davvero Gesù quando ho sperimentato la capacità di amarmi in modo gratuito e incondizionato della mia sposa, capacità che nasceva dalla sua fede in Cristo.
  2. Generare il coniuge come persona amata. Come dice la nostra amica Cristina Righi, il primo figlio della coppia è il noi. Lo sposo e la sposa donandosi e accogliendosi a vicenda diventano un noi. Il coniuge diventa il prossimo più prossimo della nostra vita. Tanto prossimo da essere uno con lui/lei. Ciò significa che la sua santità diventa il nostro obiettivo. Il nostro matrimonio è, prima di ogni altra cosa, farci carico della santità dell’altro/a. Essere capaci di apprezzarlo/a, di incoraggiarlo/a, di consigliarlo/a, di correggerlo/a, di perdonarlo/a. Sempre. Facendo questo l’uno per l’altra, giorno dopo giorno, anno dopo anno, il nostro amore diventerà sempre più forte e più grande, perchè si arricchirà di tutta una vita che diventa dono vicendevole.
  3. Generare la famiglia come comunità in missione. Questa fecondità è conseguenza delle altre. Dio Trinità perchè ha creato l’uomo? Ne aveva bisogno? No! Lo ha fatto per un eccesso d’amore. Viveva un’amore così grande che non lo ha contenuto in se stesso ma è traboccato divenendo desiderio di generare l’uomo. Così deve essere per noi. La missione è una conseguenza dell’amore che generiamo nella coppia. Un amore che è così bello e così tanto che desideriamo condividerlo anche con gli altri. Prima di tutto con i nostri figli, se ne abbiamo, ma non solo. Il servizio alla comunità diventa così qualcosa che nasce dall’amore di sposi e diventa fecondo in tanti modi diversi. Ci sarà chi opererà in parrocchia, all’oratorio, nel volontariato, nel tessuto associativo. Ci sarà chi si aprirà all’adozione o all’affido. Le modalità sono davvero molteplici. L’importante, ed è fondamentale capirlo, è che sia un desiderio che nasce dall’amore di coppia e non il cercare una realizzazione che non si riesce a trovare nella coppia. Sarebbe una fuga. La nostra vocazione è il matrimonio ed è lì che ci giochiamo la nostra santità.

Antonio e Luisa

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Nel loro abbraccio rivive l’Eden

Alda Merini, immensa poetessa scrive: Ci si abbraccia per ritrovarsi interi. Questo sei parole sono vere, sono di una profondità e autenticità comprensibili solo a chi ne ha fatto esperienza. L’abbraccio è meraviglioso. L’abbraccio è linguaggio del corpo, è liturgia degli sposi. La mancanza di carezze e abbracci rivela  grossi problemi nella coppia. Insoddisfazione, mancanza di intesa, incomunicabilità, senso di frustrazione e di non apprezzamento da parte dell’altro spesso sono causa ed effetto, in un circolo vizioso, della mancanza di tenerezza e dialogo tra gli sposi e quindi di carezze e abbracci. Un abbraccio con la persona amata, per chiunque lo abbia sperimentato, dona sensazioni meravigliose: sentirla/o stretta a sè, sentire il suo respiro, il suo abbandono e il suo amore, che diventa tangibile e palpabile, riempie l’anima e il cuore. A volte non vorremmo smettere tanto è bello. Le coppie, che perdono l’abitudine a sentirsi vive e vicine, perdono molto della loro capacità di aprirsi all’intimità, quindi, perdono molto della loro sponsalità. L’abbraccio permette di sentirci davvero un noi, una sensazione che solo l’amplesso fisico (non a caso è l’abbraccio più profondo tra gli sposi) rende più forte ed evidente. L’abbraccio ci rende uno e questa consapevolezza nutre la nostra unione e il nostro amore sponsale, rendendolo sempre vivo e mai vecchio e stantio. L’abbraccio degli sposi, fateci caso, non segue regole fisse, a volte si abbraccia la persona, a volte la testa o il ventre. L’abbraccio diventa linguaggio vero e proprio che solo gli sposi capiscono. Spesso restano con gli occhi chiusi o socchiusi perché il mondo esterno non esiste, il dialogo avviene solo attraverso il contatto, il corpo e l’intensità dell’abbraccio. L’amore diventa carne e il corpo geografia dell’amore che doniamo e riceviamo. Vi rendete conto adesso come in un rapporto tra due esseri incarnati l’abbraccio rivesta una rilevanza fondamentale? L’abbraccio può rassicurare, perdonare, trasmettere amore e tenerezza. L’abbraccio è vicinanza, intimità e unione. L’abbraccio è togliere ogni difesa e barriera, eliminare quei confini che ci separano dall’altro/a per farlo entrare in noi, nel nostro spazio. Dice don Carlo Rocchetta:

“Ogni abbraccio porta in sè questa magia: fa uscire l’io-solo e lo apre al tu, al noi, donando sollievo e gioia, come un fluido empatico che fa superare ogni distanza, in un incontro d’immedesimazione reciproca.”

La Chiesa ci insegna che Dio Trinità è amore. Solo un Dio uno e trino, che non è solo, ma che vive di relazione tra le tre persone può essere amore, perchè l’amore può esistere solo nella relazione. Senza relazione anche Dio non potrebbe essere amore ma solo potenziale capacità infinita e perfetta d’amare. Anche noi sposi siamo profezia e manifestazione dell’amore di Dio non nelle nostre persone, ma nella nostra relazione. L’abbraccio (ripeto anche l’amplesso è un abbraccio)  diviene una delle vie fondamentali per esprimere l’amore e la Grazia del nostro sacramento che in creature incarnate come noi si esprime attraverso il corpo.

Quando in una coppia non si avverte più il desiderio di abbracciare l’altro/a è il momento di darsi da fare perché significa che il rapporto è malato o ferito. Prima si risponde a questo importante campanello d’allarme e più semplice sarà recuperare e dare nuova linfa e nutrimento a una relazione che sta morendo ma che non è ancora malata terminale, e con un po’ di impegno può tornare meravigliosa e florida. Siamo spiriti incarnati e se non desideriamo il contatto fisico, ancor prima dell’unione fisica,  con il nostro sposo significa che anche nel cuore quell’unione  non è solida  (anche se momenti brevi di aridità possono essere “normali” e dovuti a fattori esterni alla coppia).

Termino con una citazione di Rocchetta, che su queste realtà e maestro e profeta: Ogni qualvolta marito e moglie si abbracciano,amandosi, accade un miracolo, nel loro abbraccio rivive l’Eden e l’Eden si fa dono di Grazia per loro.

L’abbraccio come momento di paradiso, di ritorno alle origini, dove il peccato non aveva ancora corrotto i nostri cuori e tutto era puro, pieno e perfetto. L’abbraccio anche se per pochi istanti può farci riassaporare l’infinito e la perfezione. Un istante che non vorremmo finisse mai. Un eterno presente dove non abbiamo bisogno di nulla se non di gustare quella pienezza meravigliosa. Non è forse questo il paradiso, un abbraccio eterno con Gesù.

Antonio e Luisa

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Perché mai il mio servo mi abbandona per andare in cerca di Me?

Introduco questa breve riflessione con una storia tratta dal libro Abbracciami di don Carlo Rocchetta.

Viveva con la moglie e un figlio in una grande città. Da tempo gli frullava per la testa l’idea di ritirarsi in un luogo solitario per potersi dedicare completamente al culto di Dio. Una notte l’uomo decise di partire, riflettendo tra sé: Chi mai mi ha trattenuto tanto dal partire? Nel silenzio Dio gli sussurrò: Io, non lasciare tua moglie e tuo figlio. Abbracciali! Ma l’uomo non volle ascoltare. La moglie intanto dormiva, con il figlio stretto al seno. L’uomo li guardò e pensò: Chi siete voi che mi avete ingannato per tanto tempo? – Essi sono Dio mormorò la voce, ma egli era sordo. Il bimbo fece un piccolo gemito e si strinse ancora di più alla mamma. Dio ripeté: Non andartene, non lasciare tua moglie e tuo figlio. Abbracciali! Ma egli, incurante, prese le sue cose e se ne uscì di casa, mettendosi in cammino nel buio della notte. Dio lo guardò con tristezza e sospirando disse: Perché mai il mio servo mi abbandona per andare in cerca di Me?

Questa breve storia è molto significativa e si presta a varie letture. Quella che voglio dare io è forse la meno grave, ma la più comune. Tantissimi cristiani praticanti rischiano questa deriva. Cercano Dio nei gruppi di preghiera e nei pellegrinaggi. Frequentano le sacrestie più dei sacerdoti. Si sentono realizzati negli incarichi sempre più importanti che ricoprono in parrocchia, in curia o nei vari movimenti. Tutto questo li porta a sacrificare il luogo privilegiato dove possono incontrare Dio: il loro matrimonio, la loro relazione sponsale. Spesso mi è capitato di riscontrare una grande ipocrisia. Molti nascondono, dietro il desiderio buono di rendere culto a Dio e di servirlo nella comunità, l’incapacità e la non volontà di santificarsi impegnandosi nel matrimonio. Quasi lo considerassero meno importante. La motivazione reale è che curare una relazione quotidiana, totale ed intima come il matrimonio costa tanta fatica. Queste persone tanto sono ferventi fuori tanto sono fredde in casa. Tanto si impegnano fuori tanto si disimpegnano in casa. Tanto sono pronti a sacrificarsi fuori in mille attività tanto si scansano in casa. Attenzione! Servire la comunità trova significato solo se è frutto dell’amore sponsale che diventa fecondo ed esonda le mura di casa per essere condiviso con i fratelli. Non quando diventa modo per giustificare il deserto che si vive nell’intimità della coppia e modo per gratificarsi fuori dell’amore sponsale. Questo non sarà mai culto gradito a Dio e via di santificazione per noi.

Antonio e Luisa

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Cos’è il paradiso? L’abbraccio degli sposi.

Cosa è il paradiso? Come è? Domanda difficilissima. Tanti mistici e veggenti dicono di esserci stati. Non so se sia vero oppure no. Non è importante adesso. Certo è che quando lo hanno descritto hanno usato immagini molto terrene. L’unico modo per rendere l’idea di cui potevano avvalersi. Noi sposi non abbiamo bisogno di ascoltare i racconti di queste persone. Noi sposi possiamo fare esperienza reale del paradiso. Per pochi secondi, ma esperienza di vero paradiso. Dice il mio parroco che questa terra non è il luogo della pienezza, la pienezza appartiene solo al Cielo, ma possiamo farne esperienza. Sono d’accordo. Possiamo trattenere la gioia piena per un attimo prima di vederla scivolare via. Come? Possiamo farne esperienza nell’incontro intimo. Credete che stia esagerando? Seguitemi nel discorso. L’unione sessuale nel racconto jahwista della Genesi è identificata con la conoscenza. Non a caso Maria quando risponde all’angelo dell’annunciazione, avendo questa consapevolezza nella tradizione del suo popolo, dice Come è possibile? Non conosco uomo. Conoscenza come incontro intimo tra un uomo e una donna. Don Carlo Rocchetta ci insegna che, secondo la tradizione semitica, questa conoscenza è collegata direttamente a Dio Creatore. Sicuramente perchè in quella concezione di conoscenza c’è la possibilità di partecipare alla creazione del Dio della vita attraverso il concepimento, ma non è solo questo. L’incontro intimo tra un uomo e una donna. uniti sacramentalmente in matrimonio, apre al trascendente. Cosa significa? Che nel dono totale dei cuori  e dei corpi i due sposi fanno un’esperienza, del tutto unica e specifica del loro stato, di Dio. Incontrano Dio nella loro relazione. Quindi fanno esperienza di paradiso. Paradiso che sappiamo essere la visione beatifica di Dio. Stare alla presenza di Dio. Sembra un concetto molto astratto. Mi rendo conto che è così. E’ difficilissimo raccontarlo. Sono altrettanto convinto però che gli sposi cristiani possano capire bene quello che ho cercato di dire. Se noi sposi siamo capaci di donarci completamente l’uno all’altra, in modo ecologico (umano), casto e rispettoso delle nostre sensibilità. Se riusciamo a vivere in questo modo il nostro rapporto intimo potremo fare una vera esperienza di Dio in quel dono reciproco. Quando? Quando una volta finito il rapporto  ci abbandoniamo all’abbraccio finale. Abbraccio che significa comunione profonda e condivisione perfetta del piacere e dell’unione appena sperimentati. In quell’abbraccio abbiamo tutto, facciamo esperienza della pienezza, non ci manca nulla. Per un attimo abbiamo tutto. C’è Dio tra noi e lo sentiamo in modo molto concreto e sensibile. Tanto che spesso scende anche qualche lacrima. Un’esperienza di cielo sulla terra. Poi si torna sulla terra, ma permangono i frutti di quell’incontro d’amore. Frutti che resteranno nel nostro cuore e ci doneranno  forza e nutrimento per affrontare al meglio le sfide della vita e per amarci meglio e di più.

Antonio e Luisa

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Il mistero nuziale nell’unione intima

L’unione sessuale, vissuta in modo umano e santificata dal sacramento, è a sua volta per gli sposi via di crescita nella vita della grazia. È il «mistero nuziale». Il valore dell’unione dei corpi è espresso nelle parole del consenso, dove i coniugi si sono accolti e si sono donati reciprocamente per condividere tutta la vita. Queste parole conferiscono un significato alla sessualità, liberandola da qualsiasi ambiguità. 

Queste parole sono state scritte da Papa Francesco. Esattamente le trovate al punto 74 dell’esortazione apostolica Amoris Laetitia. Sto leggendo un libro molto interessante. Si tratta de La mistica dell’intimità nuziale di don Carlo Rocchetta. Cosa possiamo comprendere da quanto il Papa scrive? Ci viene in aiuto don Carlo. Essenzialmente quattro insegnamenti.

  1. L’unione sessuale nel matrimonio è positiva. Si supera la vecchia credenza che la sessualità vissuta sia qualcosa di negativo. Certo si è capito da tempo. Giusto però sottolinearlo visto che fino a non tanti decenni fa i sacerdoti consigliavano gli sposi di astenersi dall’Eucarestia se avevano avuto un rapporto sessuale. Papa Francesco libera completamente questo gesto da ogni ambiguità e gli dona la giusta dimensione e considerazione. L’amplesso non solo non è negativo, ma al contrario è via di crescita nella vita della grazia. In parole semplici apre il cuore degli sposi sempre più perchè possa sempre più accogliere dentro di sè lo Spirito Santo, la Grazia di Dio. E’ un gesto sacramentale.
  2. L’unione sessuale va vissuta in modo umano e santificata dal sacramento. Un po’ quello che noi abbiamo sempre cercato di raccontare in questo blog e nel nostro libro. L’unione sessuale degli sposi è santa ed è aperta alla grazia di Dio quando vissuta in modo umano. Cosa significa? Non deve contraddire la dignità e l’identità dei due sposi. Don Carlo evidenzia come solo la persona umana viva l’amplesso in modo frontale e non da tergo come gli altri animali. Ciò significa che la persona umana non risponde soltanto ad un istinto, ma concretizza nell’unione intima dei corpi una relazione profonda che già vive nel cuore.
  3. L’unione intima è via di salvezza. Leggere l’unione intima degli sposi come mistero nuziale, scrive don Carlo, significa attribuire a questo gesto una chiave storico-salvifica. Significa collegarlo alla coppia delle origini, alla caduta e alla redenzione da parte di Cristo sulla croce. Ciò significa non solo che l’intimità fisica, di due sposi battezzati e uniti sacramentalmente in matrimonio, acquista una nuova dimensione redenta e salvata, ma che i due sposi unendosi partecipano alla salvezza del mondo, in quanto sono immagine dell’amore di Cristo per la sua Chiesa. Partecipano concretamente all’amore che fruisce tra Gesù e la sua Chiesa
  4. Il sacramento rende l’unione intima diversa da tutte le altre. Grazie al sacramento l’unione intima degli sposi è assunta onticamente nella relazione Cristo-Chiesa. Ciò che rende l’unione intima degli sposi diversa e molto più bella e piena di qualsiasi altra sta proprio in questo suo significato profondo. Nel matrimonio questo gesto diventa segno e concretizzazione di ciò che i due sposi si sono promessi e donati nel sacramento: un amore che dà tutto e durerà per sempre.

Capite ora che differenza c’è tra chi fa sesso e chi vive questo gesto d’amore in modo autentico? Capite come questo gesto per gli sposi possa essere davvero un’esperienza mistica e di Grazia?

Antonio e Luisa

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Sposi sacerdoti. Sui carri di Ammi-nadìb.

Nel giardino dei noci io sono sceso,
per vedere il verdeggiare della valle,
per vedere se la vite metteva germogli,
se fiorivano i melograni.
Ecco di nuovo il paragone tra la donna e il giardino. La donna è un giardino per il suo amato e suo amante. Lui deve essere come un giardiniere. Qui un altro richiamo al Vangelo. Attenzione l’uomo non è il padrone del giardino. L’uomo è solo il giardiniere. Il Signore è solo Dio. Dio che ha affidato quel giardino a Salomone affinché se ne prendesse cura e lo aiutasse a dare frutto. L’uomo non è padrone della donna. L’uomo è servitore della donna. Ancora meglio dire che l’uomo è servitore dell’amore. L’uomo ha ricevuto quel giardino non per farne ciò che vuole, ma per spendersi completamente nella sua cura. Senza metterci fatica quel giardino diventerà presto incolto e non darà nessun frutto. Solo con l’impegno e il sudore della fronte quel giardino diventerà rigoglioso e darà frutto abbondante che potrà essere offerto a Dio (ricordate il significato di sacrificio spiegato nei primi capitoli?) e di cui si potrà saziare anche il giardiniere, anche lo sposo. Già perchè quando uno sposo cura la relazione e non si risparmia in tenerezza e cura riceverà dalla sua sposa il centuplo perchè le donne quando si sentono amate, riescono ad abbandonarsi e a donarsi completamente.

Non lo so, ma il mio desiderio mi ha posto
sui carri di Ammi-nadìb.

Questo è un passaggio controverso e di difficile comprensione. Gli esegeti non riescono a dare una lettura comune ed esistono diverse interpretazioni. Io sposo il senso che ha voluto dare don Carlo Rocchetta. Ammi-nadìb era un capo delle tribù di Giuda nel periodo in cui gli ebrei si trovavano nel deserto del Sinai. Altre interpretazioni vedono in quel none un richiamo alla nobiltà. In entrambi i casi si tratta di un carro regale. Un carro che trasporta persone importanti. Un carro che incute rispetto e timore nel campo di battaglia. Un carro che spicca in mezzo a tutti gli altri. Non capite quale grande significato possiamo trovare anche in questo passaggio? Il mio amore per te, cara sposa amata, mi fa forte. Il tuo amore e il desiderio che sento per te mi dà forza che non pensavo di avere. Mi sento come un re che non ha paura di affrontare le difficoltà della vita perchè tu cara e amata sposa sei al mio fianco. Il tuo amore mi fa sentire forte, bello, desiderato e pronto ad entrare nelle tempeste della vita. Mi ritrovo moltissimo in queste parole del Cantico. Io che sono portato a sentirmi sempre inadeguato, debole, incapace, quando sento l’amore della mia sposa mi tiro insieme e do tutto perchè devo farlo per lei, per custodire e proteggere la nostra famiglia e il nostro amore. Donne non mortificate mai il vostro sposo. Ha bisogno del vostro sostegno e del vostro sguardo fiducioso e che sostiene. Non distruggetelo con il vostro disprezzo. Anche quando, secondo voi, non si comporta all’altezza delle vostre aspettative

Antonio e Luisa

1 Introduzione 2 Popolo sacerdotale 3 Gesù ci sposa sulla croce 4 Un’offerta d’amore 5 Nasce una piccola chiesa 6 Una meraviglia da ritrovare 7 Amplesso gesto sacerdotale 8 Sacrificio o sacrilegio 9 L’eucarestia nutre il matrimonio 10 Dio è nella coppia11 Materialismo o spiritualismo 12 Amplesso fonte e culmine 13 Armonia tra anima e corpo 15 L’amore sponsale segno di quello divino 16 L’unione intima degli sposi cantata nella Bibbia 17 Un libro da comprendere in profondità 18 I protagonisti del Cantico siamo noi 19 Cantico dei Cantici che è di Salomone 20 Sposi sacerdoti un profumo che ti entra dentro.21 Ricorderemo le tue tenerezze più del vino.22 Bruna sono ma bella 23 Perchè io non sia come una vagabonda 24 Bellissima tra le donne 25 Belle sono le tue guance tra i pendenti 26 Il mio nardo spande il suo profumo 27 L’amato mio è per me un sacchetto di mirra 28 Di cipresso il nostro soffitto 29 Il suo vessillo su di me è amore 30 Sono malata d’amore 31 Siate amabili 32 Siate amabili (seconda parte) 33 I frutti dell’amabilità34 Abbracciami con il tuo sguardo 35 L’amore si nutre nel rispetto. 36 L’inverno è passato 37 Uno sguardo infinito 38 Le piccole volpi che infestano il nostro amore. 39 Il mio diletto è per me. 40 Voglio cercare l’amato del mio cuore 41 Cos’è che sale dal deserto 42 Ecco, la lettiga di Salomone 43 I tuoi seni sono come due cerbiatti 44 Vieni con me dal Libano 45 Un giardino da curare 46 L’eros è un amore tenero 47 La tenerezza è amare come Dio ci ama 48 Mi hai rapito il cuore con un tuo sguardo 49 Fammi sentire la tua voce. Perchè la tua voce è soave 50 Mi baci con i baci della sua bocca 51 Quanti sono soavi le mie carezze sorella mia, sposa 52 Venga il mio diletto nel suo giardino e ne mangi i frutti squisiti 53 Le carezze dell’anima 54 Un rumore! E’ il mio diletto che bussa. 55 Il mio diletto ha messo la mano nello spiraglio  56 Io venni meno per la sua scomparsa 57 Mi han tolto il mantello 58 Che ha il tuo diletto di diverso da un altro? 59 Il matrimonio non è un armadio 60 Dolcezza è il suo palato  61 Uccidete il sogno 62 Bella come la luna

 

Dall’Eucarestia al matrimonio.

Carlo Rocchetta ci offre nel suo La mistica dell’intimità nuziale tantissimi spunti per poter riflettere sulla sacralità e grandezza dell’unione sponsale che ci caratterizza. In particolare oggi vorrei soffermarmi sul rapporto molto stretto tra Eucarestia e matrimonio. Due sacramenti, per certi versi, molto simili e strettamente legati tra loro nella realizzazione della vita di due sposi cristiani. Di per sè il rito del matrimonio non avrebbe bisogno dell’Eucarestia. Se il rito è sempre inserito in una celebrazione eucaristica è proprio per significare come l’unione sponsale sia direttamente collegata e sostenuta dall’Eucarestia.

Carlo Rocchetta, in particolare, ci invita a riflettere su questo legame molto stretto guardandolo nella sua duplice direzione. Dall’Eucarestia al matrimonio e dal matrimonio all’Eucarestia.

Dall’Eucarestia al matrimonio

Introduciamo questa prima relazione  con un passaggio di Familiaris Consortio:

L’Eucaristia è la fonte stessa del matrimonio cristiano. Il sacrificio eucaristico, infatti, ripresenta l’alleanza di amore di Cristo con la Chiesa, in quanto sigillata con il sangue della sua Croce (cfr. Gv 19,34). E’ in questo sacrificio della Nuova ed Eterna Alleanza che i coniugi cristiani trovano la radice dalla quale scaturisce, è interiormente plasmata e continuamente vivificata la loro alleanza coniugale. In quanto ripresentazione del sacrificio d’amore di Cristo per la Chiesa, l’Eucaristia è sorgente di carità. E nel dono eucaristico della carità la famiglia cristiana trova il fondamento e l’anima della sua «comunione» e della sua «missione»: il Pane eucaristico fa dei diversi membri della comunità familiare un unico corpo, rivelazione e partecipazione della più ampia unità della Chiesa; la partecipazione poi al Corpo «dato» e al Sangue «versato» di Cristo diventa inesauribile sorgente del dinamismo missionario ed apostolico della famiglia cristiana.

Cosa significa? Due sposi cristiani celebrando il loro matrimonio consegnano se stessi a Dio per portare a termine un grandissimo compito: incarnare il dinamismo pasquale. La loro vita diventa immagine del sacrificio di Cristo. La loro alleanza è immagine della nuova alleanza di Gesù, alleanza stretta sulla croce. E’ così che ogni gesto oblativo, cioè di dono, che gli sposi si offrono l’uno all’altro diventa segno del dono di Cristo. Ogni gesto diventa gesto pasquale, gesto di salvezza per se stessi e per il mondo intero. Anche il dono del corpo nell’intimità sessuale riveste questo significato profondo. Offrire se stessi completamente, anche nel corpo, come Gesù fece sulla croce. Certo si spera che il nostro sia più piacevole e desiderato.

Capite bene come l’Eucarestia debba avere un posto imprescindibile nella vita degli sposi. Questo per tre motivi. Motivi che don Carlo ci spiega molto bene:

  • Sostegno – dimensione verticale. L’Eucarestia è nutrimento per la coppia. E’ sorgente di forza e Grazia. L’Eucarestia è quindi la comunione con Gesù che ci permette la comunione tra noi. Lui è la vite e noi i tralci. Tralci uniti attraverso l’unica vite, che è Gesù.
  • Crescita – dimensione orizzontale. L’eucarestia permette agli sposi di crescere giorno dopo giorno. Permette loro di essere sempre più aderenti alla profezia che la loro unione rappresenta per il mondo intero. Gli sposi, come un negativo fotografico all’inizio del loro matrimonio non sono spesso capaci di mostrare l’amore di Dio. Di mostrare al mondo come Dio ama.  Più però crescono nella loro unione e più sviluppano, come una stampa fotografica,  una vera immagine sempre più comprensibile e ricca di colori e sfumature.  Il negativo contiene già tutto ma solo  in potenza. Sta a noi sviluppare in pienezza ciò che siamo.
  • Memoria – dimensione escatologica.  L’Eucarestia ci aiuta a ricordare come siamo parte di una storia di salvezza. Siamo una comunità di Grazia in cammino verso il Regno di Dio.

Cercare e credere nell’Eucarestia permette agli sposi di riconoscersi parte di una relazione redenta. Una relazione che nasce nell’amore umano e si perfeziona nel mistero pasquale. Certo un dono grande che va migliorato, custodito e perseguito sempre più nel tempo. Per questo l’Eucarestia è fonte del matrimonio cristiano. Nel prossimo articolo vedremo come sia anche vertice in un cerchio meraviglioso che si chiude.

Antonio e Luisa

Sposi sacerdoti. Quanto sono soavi le tue carezze sorella mia, sposa. (51 articolo)

Le carezze sono dolci, le carezze sono lievi, ma lasciano segni indelebili a chi le riceve. Le carezze non afferrano, non sono aggressive e non violano. Le carezze sono segno di voler cercare il contatto fisico con il/la nostro/a amato/a, ma senza prevaricazione, senza prepotenza, solo perchè così, nella reciproca libertà, si può essere teneri e aperti al dialogo amoroso. La carezza ci fa sentire viva la presenza dell’amato/a, ci permette di dare forma e consistenza a ciò che lo sguardo ci mostra. La bellezza dell’amato/a diventa concreta, diventa carne. Don Rocchetta cita un bel passo di un’opera di J.P. Sartre:

La carezza non è un semplice contatto, perchè allora verrebbe meno al suo significato. Carezzando l’altro io faccio nascere la sua carne con la mia carezza, sotto le mie dita. La carezza fa parte di quei riti che incarnano l’altro, fanno nascere l’altro come carne per me e io per lui. Come il pensiero si esprime con il linguaggio, così il desiderio si manifesta nella carezza.

Le carezze sono parte integrante del modo di esprimere tenerezza e la carezza più piena e più coinvolgente è sicuramente l’abbraccio. L’abbraccio permette di percepire completamente la corporeità dell’amato/a e di trasmettere fiducia, sicurezza, amore, protezione, apertura, dedizione in modo molto diretto e sensibile.La mancanza di carezze e abbracci tra gli sposi porta grossi problemi nella coppia. Insoddisfazione, mancanza di intesa, incomunicabilità, senso di frustrazione e di non apprezzamento da parte dell’altro spesso sono susseguenti a mancanza di tenerezza tra gli sposi e quindi di carezze e abbracci. Un abbraccio con la persona amata, per noi che lo abbiamo sperimentato, dona sensazioni meravigliose: sentirla stretta a me, sentire il suo respiro, il suo abbandono e il suo amore, che diventa tangibile e palpabile, mi riempie l’anima e il cuore. A volte non vorremmo smettere tanto è bello. Le coppie, che perdono l’abitudine a sentirsi vive e vicine, perdono molto della loro capacità di aprirsi all’intimità, quindi, perdono molto della loro sponsalità. L’abbraccio permette di sentirci davvero un noi, una sensazione che solo l’amplesso fisico (non a caso è l’abbraccio più profondo tra gli sposi) rende più forte ed evidente. L’abbraccio ci rende uno e questa consapevolezza nutre la nostra unione e il nostro amore sponsale, rendendolo sempre vivo e mai vecchio e stantio. L’abbraccio degli sposi, fateci caso, non segue regole fisse, a volte si abbraccia la persona, a volte la testa o il ventre. L’abbraccio diventa linguaggio vero e proprio che solo gli sposi capiscono. Spesso restano con gli occhi chiusi o socchiusi perchè il mondo esterno non esiste, il dialogo avviene solo attraverso il contatto, il corpo, l’intensità dell’abbraccio. L’amore diventa carne e il corpo geografia dell’amore che doniamo e riceviamo. Vi rendete conto adesso come in un rapporto tra due esseri incarnati l’abbraccio rivesta una rilevanza fondamentale?

Per concludere cito un altro breve spunto, tratto dal libro di Rocchetta, di una terapista americana Virgini Satir:

Ognuno di noi, piccolo o grande, ha bisogno di almeno quattro carezze al giorno per sopravvivere, otto per vivere, dodici per vivere floridamente

Non facciamoci mancare questa medicina! Non costa nulla e non ha controindicazioni.

Antonio e Luisa

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1 Introduzione 2 Popolo sacerdotale 3 Gesù ci sposa sulla croce 4 Un’offerta d’amore 5 Nasce una piccola chiesa 6 Una meraviglia da ritrovare 7 Amplesso gesto sacerdotale 8 Sacrificio o sacrilegio 9 L’eucarestia nutre il matrimonio 10 Dio è nella coppia11 Materialismo o spiritualismo 12 Amplesso fonte e culmine 13 Armonia tra anima e corpo 15 L’amore sponsale segno di quello divino 16 L’unione intima degli sposi cantata nella Bibbia 17 Un libro da comprendere in profondità 18 I protagonisti del Cantico siamo noi 19 Cantico dei Cantici che è di Salomone 20 Sposi sacerdoti un profumo che ti entra dentro.21 Ricorderemo le tue tenerezze più del vino.22 Bruna sono ma bella 23 Perchè io non sia come una vagabonda 24 Bellissima tra le donne 25 Belle sono le tue guance tra i pendenti 26 Il mio nardo spande il suo profumo 27 L’amato mio è per me un sacchetto di mirra 28 Di cipresso il nostro soffitto 29 Il suo vessillo su di me è amore 30 Sono malata d’amore 31 Siate amabili 32 Siate amabili (seconda parte) 33 I frutti dell’amabilità34 Abbracciami con il tuo sguardo 35 L’amore si nutre nel rispetto. 36 L’inverno è passato 37 Uno sguardo infinito 38 Le piccole volpi che infestano il nostro amore. 39 Il mio diletto è per me. 40 Voglio cercare l’amato del mio cuore 41 Cos’è che sale dal deserto 42 Ecco, la lettiga di Salomone 43 I tuoi seni sono come due cerbiatti 44 Vieni con me dal Libano 45 Un giardino da curare 46 L’eros è un amore tenero 47 La tenerezza è amare come Dio ci ama 48 Mi hai rapito il cuore con un tuo sguardo 49 Fammi sentire la tua voce. Perchè la tua voce è soave 50 Mi baci con i baci della sua bocca

L’abbraccio del perdono

Abbiamo appena ascoltato le testimonianze di Felicité, Isaac e Ghislain, che vengono dal Burkina Faso. Ci hanno raccontato una storia commovente di perdono in famiglia. Il poeta diceva che «errare è umano, perdonare è divino». Ed è vero: il perdono è un dono speciale di Dio che guarisce le nostre ferite e ci avvicina agli altri e a lui. Piccoli e semplici gesti di perdono, rinnovati ogni giorno, sono il fondamento sul quale si costruisce una solida vita familiare cristiana. Ci obbligano a superare l’orgoglio, il distacco e l’imbarazzo a fare pace. Tante volte siamo arrabbiati tra di noi e vogliamo fare la pace, ma non sappiamo come. E’ un imbarazzo a fare la pace, ma vogliamo farla! Non è difficoltoso. E’ facile. Fai una carezza, e così è fatta la pace!

Due coniugi sentono il desiderio di abbracciarsi solitamente quando sono in armonia e in pace tra di loro. Per noi cristiani non è solo così, o non dovrebbe esserlo. Don Carlo Rocchetta, sacerdote in prima linea nel sostenere le coppie di sposi,  dice che questo non vale per i cristiani. I cristiani devono trovare la forza nella Grazia del sacramento per abbracciare lo/a sposo/a anche quando vedono nell’altro un nemico, quando le cose non vanno bene, quando hanno litigato e sono in disarmonia. Non è scontato riuscire in questo, ma noi sposi cristiani abbiamo la Grazia, non dimentichiamolo. Siamo razionali, a volte troppo razionali e non riusciamo a perdonare quando veniamo feriti o litighiamo e pensiamo di aver ragione. Non solo siamo razionali, siamo spesso tremendamente orgogliosi. Rocchetta ci ricorda che risentimento provoca risentimento in un cerchio che non si interrompe fino a quando uno dei due non lo rompe con un gesto di perdono. Il perdono ha tre benefici principali: uno affettivo, che ci permette di ricostruire una relazione con il coniuge, uno cognitivo, che ci permette di superare la concezione dell’altro/a come avversario/a e uno comportamentale, che permette di passare da un atteggiamento di chiusura a uno nuovo di collaborazione e di ricerca del bene.  Cito testualmente quanto Rocchetta scrive nel suo bellissimo testo “Abbracciami”:

Il perdono non banalizza l’amore; al contrario, lo rinnova e purifica la tendenza di ognuno di noi a buttare sull’altro la responsabilità di quanto ci accade.

Concedere il perdono non è un segno di debolezza, ma di forza: la forza di <una fiamma tenace come la morte>, che <le grandi acque non possono spegnere> e che valgono più di qualunque ricchezza (Ct. 8, 6-7)

E’ quindi importante perdonare subito senza aspettare che sia l’altro/a a farlo per primo, fregandocene di chi ha ragione, l’abbraccio di perdono è un gesto di vita mentre il non abbraccio è un gesto di morte.

Un abbraccio è capace di cancellare ogni risentimento, di ridare nuova forza e linfa al rapporto di coppia.

Il Papa parla di fare una carezza. Va benissimo. E’ comunque rompere il muro che divide e ritrovare un contatto fatto di tenerezza. Il gesto che più manifesta il perdono è però l’abbraccio. Perché per perdonare il gesto più adatto e significativo è l’abbraccio?

Perdono, ci ricorda don Carlo , è un dono perfetto, infatti, il suffisso “per” in latino implica la pienezza e il compimento.

Non c’è nulla di meglio di un abbraccio, perché con tutto il corpo comunichiamo il desiderio di ricostruire il rapporto che si è rotto e comunichiamo la disponibilità a ricominciare con più forza e voglia di prima.

Queste realtà non le può insegnare un libro. Anche bello e interessante come quello di Rocchetta. Il libro può solo confermarle. Queste dinamiche dell’amore si possono comprendere solo vivendole, solo facendone esperienza. Quanti musi lunghi i miei primi anni di matrimonio. Poi, pian piano, se ci si abbandona, l’amore ti educa e ti cambia. In questi tanti anni le nostre crisi non ci hanno allontanato, ma al contrario, ci hanno unito sempre più. Già, perchè ora abbiamo un bagaglio di vita, fatto di tanti perdoni che ci siamo donati l’un l’altra. Tanti momenti in cui abbiamo fatto esperienza dell’amore gratuito e misericordioso. Questo bagaglio è prezioso e ci permette di fare subito la pace. Sì, perchè anche se in quel momento il nostro sposo (sposa) ha sbagliato, ci ha magari anche ferito, abbiamo una memoria, una storia di bene. Basta fare memoria di tutte le volte che siamo stati noi a ferire e siamo stati perdonati. Facendo memoria di questo il rancore scompare e quella carezza che il Papa ci chiede di fare diventa non solo facile, ma l’unico nostro desiderio in quel momento.

Antonio e Luisa

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Il contrario di famiglia è solitudine 

I santi della porta accanto

Il nostro matrimonio è un tè da gustare

 

 

 

Sposi sacerdoti. L’amato mio è per me un sacchetto di mirra. (27 articolo)

Abbiamo terminato il precedente articolo con il parallelismo tra l’amore degli sposi del Cantico e il gesto di Maria, sorella di Marta. Gesto con il quale Maria ha cosparso Gesù con il nardo. Parallelismo che ci ricorda che l’amore matrimoniale ci prepara alle nozze eterne con Cristo. Il modo in cui Maria ama Cristo deve essere bussola per noi sposi. Amando il nostro sposo (sposa) ci prepariamo ed impariamo ad amare Cristo nell’eternità. Ci stupiamo della bellezza di Gesù quando ci stupiamo  della bellezza l’uno dell’altra. Contempliamo la meraviglia di Gesù quando contempliamo la meraviglia l’uno dell’altra. Incontriamo Gesù quando lo intravediamo nell’altro/a. Capite ora perchè i gesti d’amore tra gli sposi sono veri gesti sacerdotali?  Torniamo ora al Cantico.

L’amato mio è per me un sacchetto di mirra,
passa la notte tra i miei seni.
14L’amato mio è per me un grappolo di cipro
nelle vigne di Engàddi.
15Quanto sei bella, amata mia, quanto sei bella!
Gli occhi tuoi sono colombe.

L’amato mio è per me un sacchetto di mirra, passa la notte tra i miei seni.

Questo passaggio è da spiegare. All’epoca le donne erano solite portare al collo un sacchettino con della mirra. Un sacchettino che quindi scendeva fino al seno. Questa immagine è molto eloquente. Un’altra essenza. Un altro profumo. Un amore che richiama la passione. Richiama il seno e quindi una parte del corpo femminile che accende l’eros dell’uomo. Profumo che inebria e incendia di passione l’uomo. Amore sensibile e carnale. Il desiderio è in crescendo. Un desiderio casto, un desiderio non generato dalla concupiscenza e dalla spinta a possedere, ma dalla profonda scoperta della meraviglia dell’altro. Desiderio che nasce nel cuore e si svela nella geografia del corpo. Un’immagine che richiama la fecondità dell’amore. I seni nutrono la vita generata da quel noi. E’ un richiamo forte a nutrire l’amore. Ogni volta che ci si dona l’uno all’altra c’è fecondità. Non solo quando si genera nuova vita biologica, ma anche quando si genere nuova vita amore. Quando si cresce nella capacità di amarsi e di amare.

Un’ultima annotazione su questa parte del testo. Don Carlo Rocchetta traduce quel Quanto sei bella, amata mia, quanto sei bella! in quanto sei incantevole.

Questa traduzione esprime molto meglio la percezione dello sposo. Tutti noi uomini, credo, possiamo identificarci in questa traduzione.

Quanto sei incantevole è un aggettivo molto più soggettivo. Non importa se non sei poi oggettivamente così bella. Se hai difetti, se hai inestetismi. Se hai qualche chilo di troppo, magari. Sei incantevole per me. Mi fermo ad ammirarti. Mi fermo e resto rapito dalla tua persona. Sei piena di grazia e di fascino per me. Questa è la traduzione che meglio può esprimere quanto sta accadendo tra i due sposi del Cantico e nella quale tutti noi possiamo riconoscerci. Guardiamo la nostra sposa con questo sguardo. Facciamola sentire la più bella di tutte per noi.

Antonio e Luisa

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Introduzione Popolo sacerdotale Gesù ci sposa sulla croceUn’offerta d’amore Nasce una piccola chiesa Una meraviglia da ritrovare Amplesso gesto sacerdotale Sacrificio o sacrilegioL’eucarestia nutre il matrimonio Dio è nella coppiaMaterialismo o spiritualismo Amplesso fonte e culmineArmonia tra anima e corpo L’amore sponsale segno di quello divino L’unione intima degli sposi cantata nella Bibbia Un libro da comprendere in profondità I protagonisti del Cantico siamo noi Cantico dei Cantici che è di Salomone Sposi sacerdoti un profumo che ti entra dentro. Ricorderemo le tue tenerezze più del vino. Bruna sono ma bella Perchè io non sia come una vagabonda Bellissima tra le donne Belle sono le tue guance tra i pendenti Il mio nardo spande il suo profumo

Non evitate il confronto

Avete conflitti? Rallegratevene. Il conflitto non è un segno di crisi e di deterioramento del rapporto. Almeno non lo è sempre. Siamo diversi, abbiamo idee diverse, sensibilità diverse, storie diverse. Siamo maschio e femmina. Già questo implica una diversità grandissima. Siamo complementari, ma non siamo uguali. Con il tempo ci può essere una convergenza di idee, semplicemente perché la strada percorsa insieme è tanta, ma mai omologazione. L’omologazione significa che uno dei due ha subito l’altro. Significa che c’è una dipendenza o un’idolatria di uno verso l’altro. Non c’è libertà, ma dipendenza. Non c’è la libertà di due identità che si donano reciprocamente, ma il fagocitare di uno da parte dell’altro. Non è certo un rapporto positivo. L’omologazione è segno di un rapporto malato, o in ogni caso, non equilibrato.

Il conflitto è segno invece di libertà. E’ spesso causa di tensione e di sofferenza a volte. E’ una sofferenza necessaria. Aiuta a crescere. Il conflitto, se vissuto in modo rispettoso, serve a conoscere meglio l’altro, a comprendere il suo punto di vista e a trovare una soluzione condivisa. Magari una terza strada che non è frutto né di uno né dell’altra, ma della loro relazione. Il noi della coppia può trovare una terza via.

Spesso succede qualcosa di diverso. I problemi ci sono, le divergenze anche, ma non si affronta il problema. Si rimanda il confronto perché non si vuole affrontare la fatica di risolvere.

Don Carlo Rocchetta mette in guardia dal pericolo nascosto di rifuggire il confronto.

Fingere di non vedere le difficoltà coniugali, tendere a nasconderle o evitare di affrontarle, è un meccanismo di difesa piuttosto diffuso, specie negli uomini. Ci si illude che la relazione di coppia vada bene, anche quando si percepisce che non è così. Non si vuol soffrire e ci si illude che non possibile non guardare in faccia la realtà. Prevale la motivazione (falsa) di un quieto vivere, ma che in realtà è una vera e propria fuga: si fugge dal confronto, perchè si ha paura del litigio, e si fugge dal litigio perchè si ha paura del confronto; un vero e proprio circolo vizioso.  La coppia vive nel contesto di una relazione costantemente precaria, mettendo in moto il noto meccanismo della rimozione; un meccanismo che si limita a nascondere il problema, ma non lo risolve; anzi, come il fuoco sotto la cenere, esso potrà esplodere da un momento all’altro e forse proprio nel momento meno opportuno. Evitare la chiarificazione dei problemi è un chiaro segno di immaturità. La comunicazione tra gli sposi è necessaria come la sorgente per il fiume

(da Gesù medico degli sposi)

Antonio e Luisa

 

L’alfabeto degli sposi. T come tenerezza.

Tenerezza insieme a misericordia sono le due parole, o ancor meglio, i due concetti più ripresi da Papa Francesco. Riporto due sue riflessioni tra le tante, molto significative:

Tenerezza! Ma il Signore ci ama con tenerezza. Il Signore sa quella bella
scienza delle carezze, quella tenerezza di Dio. Non ci ama con le parole. Lui si avvicina e ci dà quell’amore con tenerezza. Vicinanza e tenerezza! Queste sono due maniere
dell’amore del Signore che si fa vicino e dà tutto il suo amore con le cose anche più
piccole: con la tenerezza. E questo è un amore forte, perché vicinanza e tenerezza ci
fanno vedere la fortezza dell’amore

e in un’altra occasione:

il luogo teologico della tenerezza di Dio: le nostre piaghe

Queste due riflessioni, condivise in momenti diversi, sono molto significative, perchè aiutano a comprendere la tenerezza nelle sue componenti costitutive e profonde che abitano il cuore dell’uomo.

Prima di proseguire, è importante definire la tenerezza. Quale realtà si intende con questa parola tanto abusata? Rispondo con le parole di don Carlo Rocchetta, penso il maggior esperto vivente, che nel suo libro Teologia della Tenerezza scrive:

Il sentimento della tenerezza ci è dato come un ricco potenziale di sensibilità, volto
all’accoglienza e al dono, allo scambio amicale e all’amabilità, ma esige di essere
incanalato nella giusta direzione, in risposta al disegno di Dio sulla nostra vita e sul
mondo.
Vivere l’esistenza con tenerezza non è dunque un dato scontato: suppone un cammino e richiede una disciplina. La tenerezza ha bisogno di incontrarsi con la ricerca della maturità e viceversa. L’una sostiene l’altra e la manifesta. Solo assumendo la tenerezza in un’ottica di questo genere è possibile evitare il pericolo di viverla come una compensazione affettiva o un’acquiescenza ai vuoti del cuore umano, oppure ridurla a dipendenza psicologica o strumentalizzarla a fini di potere sull’altro/a da sé”

Si può quindi dire che la tenerezza, prima che un sentimento, è uno stile di vita, un modo di amare in ogni momento, un modo che rispecchia lo stile di Dio e che permette a noi sposi di combattere il desiderio di possesso, e quindi, ci permette di farci dono.

La tenerezza è un vero e proprio linguaggio attraverso il corpo, la tenerezza pone le basi per rendersi accogliente e aprirsi all’altro/a ed instaurare un dialogo perpetuo d’amore.

Il mio corpo diventa luogo e mezzo della tenerezza. Se non ho un atteggiamento libero e sano nei confronti del corpo, non riuscirò ad esprimere la tenerezza. Prima cosa da fare è quindi sicuramente educarmi a vedere il mio corpo come qualcosa non di estraneo all’anima, ma qualcosa che ne è strettamente legato. Dice Rocchetta che ogni persona  ha due possibilità: fare della corporeità un segno vivo e tangibile della tenerezza oppure chiudersi a riccio facendo di sé un recinto chiuso e impenetrabile. E’ chiaro che con la mia sposa desidererei essere nella prima situazione, ma non è sempre facile. Mi porto dentro ferite, lacci, idee e vissuti che spesso mi rendono molto difficile aprirmi totalmente a lei. Solo un vero dialogo d’amore, un progressivo abbandono all’altra e un atteggiamento costante di rispetto e non di prevaricazione possono aiutarmi ad essere finalmente capace di accoglierla in me e di darmi a lei in un contesto di fiducia ed abbandono reciproco. Io e Luisa abbiamo vissuto questo. Spesso si arriva al matrimonio con ferite da guarire e blocchi da rimuovere e solo con gli anni il rapporto di coppia diventa realmente totale e libero nella verità. Pensateci bene. Spesso le persone che più si spogliano, che più hanno violentato il pudore e che vivono rapporti disordinati e occasionali sono quelle che faticano maggiormente a svelare la profondità della propria anima alle altre persone. Sono quelle che vestono maschere e armature per difendersi e per la paura di mostrarsi nell’intimo del proprio cuore. E’ una drammatica disarmonia tra cuore e corpo che provoca sofferenza e chiusura.

Il matrimonio non è così. Grazie alla tenerezza ho imparato a guardare la mia sposa con occhi che amano, rispettano, valorizzano e accolgono. Non c’è paura, non c’è prevaricazione, non c’è violenza. Per questo c’è la libertà di essere ciò che siamo, senza paura di giudizio o di abuso da parte dell’altro/a. Qui c’è l’armonia di chi si sente di mostrarsi nudo nel corpo solo dopo essere riuscito a denudarsi nell’anima. Sembrano concetti astratti, ma sono al contrario molto concreti. Non c’è vergogna perchè non c’è giudizio, ma solo accoglienza. Davvero ci si sente liberi di mostrarsi nudi come solo lo sguardo di Dio consente. Neanche nella mia famiglia di origine sono mai stato tanto libero nel mostrarmi con tutti i miei difetti e tutte le mie fragilità. San Giovanni Paolo II dice che il matrimonio è una relazione redenta che consente di tornare alle origini, dove uomo e donna non sentivano la necessità di coprirsi, come invece accadde dopo la rottura del peccato originale. Linguaggio figurato per dire che ciò che ci impedisce di essere liberi è il peccato e la concupiscenza.

Ho parlato di fragilità, si perchè, come dice Papa Francesco nella seconda riflessione che ho riportato, la tenerezza si nutre delle piaghe del fratello e della sorella. E’ proprio lì dove lei è più debole, dove la mia sposa fa più fatica ad accettarsi che io devo amarla e curarla con il mio amore tenero. Giusto ieri sono tornato a casa alla sera, stanco morto. Ho trovato la casa in uno stato pietoso e lei che desolata si dispiaceva del fatto di non essere stata abbastanza brava nel pensare a tutto. Non ho più badato alla mia stanchezza, ma alla sua fragilità di quel momento, e mi sono impegnato per sostenerla ed aiutarla. Bastava un attimo per accendere un litigio. Stanco e nervoso io, stanca e desolata lei. Bastava una parola di troppo. Invece quel momento è diventata occasione di comunione e sostegno. Un amore tenero vissuto nel servizio vicendevole, E’ stato molto bello.

Per concludere si può affermare che la nostra unione deve essere specchio del nostro rapporto con Dio, e di conseguenza,  che la tenerezza porta all’intimità con Dio e che Dio porta alla tenerezza nell’intimità con la nostra sposa o il nostro sposo.

Antonio e Luisa

 

 

 

L’alfabeto degli sposi. Q come quoziente matematico. (La regola di Rocchetta)

Questa riflessione l’avevo già abbozzata circa un anno fa. Voglio ora riprenderla e cercare di approfondirla meglio. Riflessione che parte da un’intuizione molto interessante di don Carlo Rocchetta e che potete leggere nel suo testo Teologia del talamo nuziale.

A chi mi accusa di voler codificare con delle regole quella realtà molto personale che è la relazione sponsale darò ora motivo per scandalizzarsi ancora di più. Esiste una rappresentazione matematica, sul piano cartesiano, che può dirci e rivelarci come sta il nostro matrimonio. E’ un indice che può mostrarci in modo quasi scientifico la qualità della nostra relazione. Come ogni rappresentazione grafica di questo tipo abbiamo bisogno di valorizzare due incognite che possono assumere un valore positivo o negativo. L’incognita x, quella misurata sull’asse delle ascisse, rappresenta quanto si è aperti e quanto ci si dona all’altro/a. Rappresenta la tenerezza verso l’altro. Più si vivrà intensamente e autenticamente un amore che si fa tenerezza, cura, attenzione e dono  nei confronti dell’altro e più il valore x sarà positivo e alto. Il contrario della tenerezza è la passione. Passione intesa in senso negativo, come purtroppo è spesso intesa e vissuta oggi. Passione come ripiegamento su di sé e sulla ricerca del piacere. Sull’appagamento di pulsioni che ci trasforma in marionette incapaci di controllarsi. Persone incapaci di donarsi perché non padroni di se stesse. Passione che diventa uso dell’altro e non dono all’altro di se stessi. Tante relazioni finiscono quando finisce la passione. Così dicono molti. Un modo carino per dire che dall’altro non si ricava più piacere e come una scarpa vecchia lo si getta e lo si cambia con chi ci può soddisfare meglio. Tutto è incentrato su di sé. Esattamente il contrario dell’amore autentico. La tenerezza è l’attrazione verso l’altro che si fa donazione di sé. La passione è l’attrazione che si fa egoismo, di chi vuole prendere all’altro.  La tenerezza è sguardo che dà valore, la passione è sguardo che vuole rubare e impoverire l’altro. Don Carlo va oltre. Ci spiega che, perché l’intimità sessuale sia vissuta bene e sia nutrimento per l’unione degli sposi, serve che abbia una estensione orizzontale verso la tenerezza (x) e un’estensione verticale (y)  verso l’amore oblativo, verso l’agape, verso l’intimità con Dio Trinità, che costituisce il fondamento di ogni matrimonio sacramento.  Perché un matrimonio sia sano, vissuto nella gioa e nella verità, dobbiamo impegnarci affinché la nostra curva dell’amore sia protesa verso il massimo della tenerezza e il massimo dell’intimità con Dio.

Copy of Copy of Copy of Copy of Twenty years from now you will be more disappointed by the things that you didn’t do than by the ones you did do. So throw off the bowlines. Sail away from the safe harbor. Ca (12)

Penso che ognuno possa verificare nella propria vita l’esattezza di una nuova legge matematica. Dopo la regola di Ruffini ecco ora la regola di Rocchetta (scherzo ma non troppo). Intimità con Dio e aumento della tenerezza sono direttamente proporzionali. Al crescere della nostra intimità con Dio, della nostra unione sponsale con Dio (in quanto appartenenti alla Chiesa siamo sposa di Cristo) crescerà proporzionalmente anche la qualità e la tenerezza del nostro matrimonio, della relazione con il nostro sposo/la nostra sposa. Ogni preghiera, adorazione, dialogo e ogni altra ricerca della Grazia di Dio e ricerca di perfezionamento della nostra relazione con Dio ci aiuterà a vivere meglio e sempre più pienamente il matrimonio e l’amplesso fisico. Vale anche l’opposto. Ogni rapporto fisico vissuto nell’autentico dono di sé apre il cuore all’azione dello Spirito Santo e incrementa quindi la nostra capacità di accogliere il dono di Dio. Detto in altri termini, più semplici e comprensibili, incrementa la nostra fede.

Alla fine l’amore è tutta questione di chimica, anzi, di matematica, non è vero che dipende dai sentimenti che non controlliamo e a cui siamo sottomessi. Se ci impegniamo a mantenere la nostra curva dell’amore protesa verso la tenerezza dell’uno verso l’altra in ogni situazione della nostra vita insieme e se ci affidiamo alla Grazia di Dio, il risultato sarà sempre positivo e non rischieremo di fallire la missione più importante che Dio ci ha affidato: il nostro matrimonio.

Antonio e Luisa

 

I pericoli vanno compresi.

Quali sono i rischi da cui due sposi devono guardarsi per evitare che la loro relazione sia causa di sofferenza, solitudine, incomprensione e divisione?

Secondo don Carlo Rocchetta sono essenzialmente tre. Cercherò di scrivere una breve riflessione per ognuna di esse.

Una breve puntualizzazione. Don Carlo non cita tra le cause la mancanza di preghiera e dei sacramenti per una semplice ragione, almeno secondo me. La preghiera e i sacramenti, come già più volte scritto, non sono magie di Dio. La preghiera e i sacramenti ci aiutano ad entrare in relazione con Gesù, ad aprire il cuore e nel caso dei sacramenti anche a riempirlo dello Spirito Santo effuso. Non è una magia, ma una trasfigurazione delle nostre doti del cuore e del corpo. Una realtà invisibile che trova espressione e una reale utilità e concretezza solo se vissuta e accolta nel cuore e attraverso il corpo.

  1. Non c’è più tenerezza tra gli sposi.
  2. quando il fare prende il sopravvento sull’essere.
  3. quando i coniugi non si sentono amati l’uno dall’altro.

Nelle nostre preghiere di ogni giorno dobbiamo chiedere proprio questo. Non solo dobbiamo impegnarci giorno dopo giorno per viverle con tutta la nostra umanità, con il nostro cuore e il nostro corpo. Dobbiamo dare tutto. Solo così lo Spirito Santo potrà fare la differenza nella nostra relazione.

Non c’è più tenerezza tra gli sposi.

La tenerezza non è un optional. Non serve nascondersi dietro scuse. Tutti possono parlare questo linguaggio se si impegnano, se si educano e se lo chiedono a Dio. La tenerezza è il linguaggio d’amore degli sposi. Senza tenerezza gli sposi si parlano, ma non dialogano. I cuori degli sposi diventano sconosciuti e pian piano tutto muore. Quella che doveva essere gioia ed epifania dell’amore trinitario si trasforma in un freddo rapporto tra persone che hanno interessi comuni che possono essere la casa, i figli, ma nulla più. Si perde la capacità di parlare per raccontarsi e per aprire il cuore. Si finisce per parlare solo di ordinarietà, di cibo di impegni e di tutte queste cose importanti, ma che rimandano ad una relazione superficiale che non scalda e non unisce. Manca di intimità e di unità.

Chiediamo a Dio di darci la capacità di parlare questo linguaggio per non perdere mai il fondamentale desiderio di donarci e accoglierci a vicenda.

Quando il fare prende il sopravvento sull’essere.

Tutti noi facciamo tanto. Lavoro, impegni, figli, spesa, casa. Non c’è tempo. Servirebbero giorni di 30 ore. Siamo una generazione multitasking più per necessità che per scelta. Questo non è di per sè un pericolo. Lo diventa però quando non si è più capaci di comprendere perchè facciamo così tanto. Abbiamo investito tutto sul nostro matrimonio e probabilmente se facciamo così tanto è proprio per viverlo al meglio, in pienezza. Col tempo il fare può soffocare però la relazione. Marta uccide Maria. Non c’è più tempo. Chiediamo a Dio la capacità di rinunciare a qualcosa per il nostro matrimonio. Rinunciare a quel lavoro, a quell’opportunità in più, ad avere una casa perfetta per nutrire la relazione. Aiutaci ad essere liberi per poterci amare. Non serve avere la bella casa, un conto a cinque zeri in banca e poi avere fallito una delle poche cose che ci porteremo oltre la morte: la nostra risposta alla vocazione all’amore.

Quando i coniugi non si sentono amati l’uno dall’altro.  

Questo pericolo è legato ai primi due. Ne è forse una sintesi.

Quante volte ci incrociamo con la nostra sposa o il nostro sposo ma non ci incontriamo. Quante volte facciamo altro invece di ascoltare e dialogare col nostro coniuge. E’ vero abbiamo tutti tante cose da fare e a cui pensare. Abbiamo il lavoro, la famiglia, i bambini e tutto il resto. Il mondo in cui viviamo è terribile da questo punto di vista. Non riusciamo a fermarci. E anche quando siamo a casa siamo distolti dall’attenzione dell’uno verso l’altra. Trovare un momento in cui parlare diventa davvero complicato e spesso, lo dico con sincerità, non ne abbiamo neanche voglia.

Consideriamo quel poco tempo libero nostro, un tesoro da non dividere con nessuno. Questo è molto triste. Dialogare con il nostro sposo/a non dovrebbe mai essere considerato tempo perso, ma al contrario è una grande occasione per amarlo, per far crescere e maturare quell’intimità, quella complicità, quel voler bene che sono ciò che dà sapore al rapporto. Ascoltare la propria moglie o il proprio marito mentre si apre, esprime le proprie paure, gioie, difficoltà, sofferenze, gratitudine e mostrare interesse, compassione (patire con) condivisione è grande. Sono quei momenti che saldano un rapporto più che mai e riempiono il cuore.  E invece noi magari passiamo ore sui social a parlare con persone che neanche si conoscono bene e trascuriamo nostra moglie e nostro marito. Chiediamo a Dio la capacità di non far mai sentire solo e non amato il nostro coniuge. Esserci quando ha bisogno di una parola, di una carezza o semplicemente una presenza attenta.

Antonio e Luisa

Nel loro abbraccio rivive l’Eden.

Alda Merini, immensa poetessa scrive:

Ci si abbraccia per ritrovarsi interi.

Questo sei parole sono vere, sono di una profondità e autenticità comprensibili solo a chi ne ha fatto esperienza. L’abbraccio è meraviglioso. L’abbraccio è linguaggio del corpo, è liturgia degli sposi. La mancanza di carezze e abbracci rivela  grossi problemi nella coppia. Insoddisfazione, mancanza di intesa, incomunicabilità, senso di frustrazione e di non apprezzamento da parte dell’altro spesso sono causa ed effetto, in un circolo vizioso, della mancanza di tenerezza e dialogo tra gli sposi e quindi di carezze e abbracci. Un abbraccio con la persona amata, per chiunque lo abbia sperimentato, dona sensazioni meravigliose: sentirla/o stretta a sè, sentire il suo respiro, il suo abbandono e il suo amore, che diventa tangibile e palpabile, riempie l’anima e il cuore. A volte non vorremmo smettere tanto è bello. Le coppie, che perdono l’abitudine a sentirsi vive e vicine, perdono molto della loro capacità di aprirsi all’intimità, quindi, perdono molto della loro sponsalità. L’abbraccio permette di sentirci davvero un noi, una sensazione che solo l’amplesso fisico (non a caso è l’abbraccio più profondo tra gli sposi) rende più forte ed evidente. L’abbraccio ci rende uno e questa consapevolezza nutre la nostra unione e il nostro amore sponsale, rendendolo sempre vivo e mai vecchio e stantio. L’abbraccio degli sposi, fateci caso, non segue regole fisse, a volte si abbraccia la persona, a volte la testa o il ventre. L’abbraccio diventa linguaggio vero e proprio che solo gli sposi capiscono. Spesso restano con gli occhi chiusi o socchiusi perché il mondo esterno non esiste, il dialogo avviene solo attraverso il contatto, il corpo e l’intensità dell’abbraccio. L’amore diventa carne e il corpo geografia dell’amore che doniamo e riceviamo. Vi rendete conto adesso come in un rapporto tra due esseri incarnati l’abbraccio rivesta una rilevanza fondamentale? L’abbraccio può rassicurare, perdonare, trasmettere amore e tenerezza. L’abbraccio è vicinanza, intimità e unione. L’abbraccio è togliere ogni difesa e barriera, eliminare quei confini che ci separano dall’altro per farlo entrare in noi, nel nostro spazio. Dice don Carlo Rocchetta:

“Ogni abbraccio porta in sè questa magia: fa uscire l’io-solo e lo apre al tu, al noi, donando sollievo e gioia, come un fluido empatico che fa superare ogni distanza, in un incontro d’immedesimazione reciproca.”

La Chiesa ci insegna che Dio Trinità è amore. Solo un Dio uno e trino, che non è solo, ma che vive di relazione tra le tre persone può essere amore, perchè l’amore può esistere solo nella relazione. Senza relazione anche Dio non potrebbe essere amore ma solo potenziale capacità infinita e perfetta d’amare. Anche noi sposi siamo profezia e manifestazione dell’amore di Dio non nelle nostre persone, ma nella nostra relazione. L’abbraccio (ripeto anche l’amplesso è un abbraccio)  diviene una delle vie fondamentali per esprimere l’amore e la Grazia del nostro sacramento che in creature incarnate come noi si esprime attraverso il corpo.

Quando in una coppia non si avverte più il desiderio di abbracciare l’altro/a è il momento di darsi da fare perché significa che il rapporto è malato o ferito. Prima si risponde a questo importante campanello d’allarme e più semplice sarà recuperare e dare nuova linfa e nutrimento a una relazione che sta morendo ma che non è ancora malata terminale, e con un po’ di impegno può tornare meravigliosa e florida. Siamo spiriti incarnati e se non desideriamo il contatto fisico, ancor prima dell’unione fisica,  con il nostro sposo significa che anche nel cuore quell’unione  non è solida  (anche se momenti brevi di aridità possono essere “normali” e dovuti a fattori esterni alla coppia).

Termino con una citazione di Rocchetta, che su queste realtà e maestro e profeta:

Ogni qualvolta marito e moglie si abbracciano,amandosi, accade un miracolo, nel loro abbraccio rivive l’Eden e l’Eden si fa dono di Grazia per loro

L’abbraccio come momento di paradiso, di ritorno alle origini, dove il peccato non aveva ancora corrotto i nostri cuori e tutto era puro, pieno e perfetto. L’abbraccio anche se per pochi istanti può farci riassaporare l’infinito e la perfezione. Un istante che non vorremmo finisse mai. Un eterno presente dove non abbiamo bisogno di nulla se non di gustare quella pienezza meravigliosa. Non è forse questo il paradiso, un abbraccio eterno con Gesù.

Antonio e Luisa

 

Amoris Laetitia: inno alla tenerezza sponsale

Entro questo contesto si pongono le linee di spiritualità della tenerezza che emergono dall’AL.

Mi limito a enumerarne sei:

  • la tenerezza nuziale come cammino dinamico-graduale;
  • la tenerezza nuziale come maturità affettiva;
  • la tenerezza nuziale come relazione intima;
  • la tenerezza nuziale come fecondità amante;
  • la tenerezza nuziale come estetica spirituale dell’amore;
  • la tenerezza nuziale come evento di carità teologale.

 

  1. La tenerezza nuziale come cammino dinamico-graduale

 

Sposarsi “nel Signore”, significa essere posti nella nuzialità del Cristo-Sposo con la Chiesa-sua-Sposa e accettare di ri-sposarsi ogni giorno, riscegliendosi e ri-innamorandosi a ogni stagione della vita.

Il sacramento delle nozze costituisce un grande viaggio: un viaggio che sgorga da Dio-Trinità-di-Amore, si modella su Dio-Trinità-di-Amore e va verso Dio-Trinità-di-Amore.

Un viaggio da costruire giorno per giorno: non è stasis, ma ex-stasis.

Di qui l’urgenza di presentarlo, come spiega AL,

come un cammino dinamico di crescita e di realizzazione,

e non un peso da sopportare” (AL 37).

Presentare dunque l’ideale del matrimonio in tutta la sua bellezza e grandezza, ma fare tutto questo con grande umanità e con la pazienza di un percorso che esige una sua gradualità.

Proclama magnificamente l’AL:

“Non si deve gettare sopra due persone limitate il tremendo peso di dover riprodurre in maniera perfetta l’unione che esiste tra Cristo e la sua Chiesa, perché il matrimonio come segno implica un processo dinamico, che avanza gradualmente con la progressiva integrazione dei doni di Dio” (n.122).

Una cosa dev’essere chiara, secondo l’AL, l’amore che i due si promettono il giorno delle nozze supera i livelli della sola emozione o dei soli stati d’animo, pur includendoli.

“È un voler bene più profondo, con una decisione del cuore che coinvolge tutta l’esistenza. Così… si mantiene viva ogni giorno la decisione di amare, di appartenersi, di condividere la vita intera e di continuare ad amarsi e perdonarsi” (n.164).

  1. La tenerezza nuziale come maturità affettiva

Si è già entrati, a questo punto, nella questione decisiva: orientare coloro che si sposano a una vera maturità affettiva, in grado di superare la “cultura del provvisorio” imperante oggi, e rendere gli sposi stabili nella loro relazione affettiva.

Mi riferisco alla rapidità con cui le persone passano da una relazione    affettiva a un’altra.

Credono che l’amore, come nelle reti sociali, si possa connettere o disconnettere a piacimento del consumatore e anche bloccare velocemente.

Si trasferisce alle relazioni affettive quello che accade con gli oggetti e con l’ambiente: tutto è scartabile, ciascuno usa e getta, spreca e rompe, sfrutta e spreme finché serve. E poi addio” (n.39).

Già l’Evangelii Gaudium, aln.66, aveva accennato alla crisi culturale profonda che attraversa i legami sociali; ci si trova, come direbbe Bauman, in una “società liquida”, priva di solidità; il che spiega la fragilità con cui è vissuta la relazione di coppia.

Spiega papa Francesco:

“I Padri sinodali hanno fatto riferimento alle attuali tendenze culturali che sembrano imporre un’affettività narcisistica, instabile e mutevole che non aiuta sempre i soggetti a raggiungere una maggiore maturità….

Molti sono coloro che tendono a restare negli stadi primari della vita emozionale e sessuale…” (n.41).

Un analfabetismo affettivo che contrassegna la vita della coppia ed è all’origine di tante crisi di coppia, come spiega la nostra esortazione:

“Le stesse crisi coniugali frequentemente sono affrontate in modo sbrigativo e senza il coraggio della pazienza, della verifica, del perdono reciproco, della riconciliazione e anche del sacrificio.

I fallimenti danno, così, origine a nuove relazioni, nuove coppie, nuove unioni e nuovi matrimoni, creando situazioni famigliari complesse e problematiche per la scelta cristiana” (n.41)

A proposito di crisi coniugali, l’AL introduce una rilettura molto interessante dell’indissolubilità del matrimonio:

L’indissolubilità del matrimonio, non è da intendere anzitutto come un “giogo” imposto agli uomini, ma come un “dono” fatto alle persone unite in matrimonio (n. 62).

Papa Francesco vede l’indissolubilità come un dono fecondo che garantisce la stabilità della coppia, oltre il fluttuare degli alti e bassi, e offre la grazia di poter ricominciare ogni volta.

Il concetto d’indissolubilità non dev’essere ridotto solo all’obbligo di non-separarsi, ma va compreso come un “dono” che rimanda

1°. a un vincolo permanente che viene da Dio, inserisce gli sposi nell’alleanza indistruttibile di Cristo con la Chiesa e garantisce l’esistenza degli sposi, oltre l’alternarsi delle emozioni passeggere;

2°. a un dono di Dio indirizzato a sostenere gli sposi che consente loro di rinnovare il loro amore ogni giorno e a ogni stagione della vita.

Il “tutto” e il “per sempre” delle nozze cristiane non è dunque l’espressione di un giuridismo che uccide, ma un accadimento di grazia che nobilita l‘amore degli sposi e lo rende costantemente nuovo, creativo, in grado di rinascere a ogni svolta della loro esistenza nuziale.

Grazie a questo dono gli sposi possano avere la certezza che ogni situazione – persino l’eventuale tradimento – può essere superato.

Il matrimonio-sacramento infatti si fonda sulla fedeltà di Dio, non sulle nostre deboli forze. E tale è il contenuto positivo dell’indissolubilità del matrimonio.

 

  1. La tenerezza nuziale come intimità gioiosa

 

La tenerezza è descritta dall’ AL come vocazione all’amore sentito, espresso nel linguaggio delle carezze, fino a fare della relazione intima una celebrazione in atto del sacramento delle nozze.

Viene superata ogni concezione fobica della sessualità coniugale. Un dato di fatto che non è mancato nella storia della tradizione cristiana.[12] Scrive papa Francesco:

“L’unione sessuale, vissuta in modo umano e santificata dal sacramento, è per gli sposi via di crescita nella vita della grazia. È il ‘mistero nuziale’. Il valore dell’unione dei corpi è espresso nelle parole del consenso, dove i coniugi si sono accolti e si sono donati reciprocamente per condividere tutta la vita. Queste parole conferiscono un significato alla sessualità, liberandola da qualsiasi ambiguità” (AL 74).

Solo la tenerezza è in grado di canalizzare le pulsioni fisiche e la stessa sensibilità affettiva in un quadro di scambio relazionale, connotato da altruismo, premura e attenzione al partner e alla sua bellezza, fino a condurre a desiderare il desiderio dell’altro.

La sessualità coniugale attinge il suo più alto contenuto quando è segno di tenerezza e aiuta a crescere nella tenerezza; in caso contrario, finisce per essere svuotata del suo contenuto e smarrisce il suo significato unitivo specifico.

Lo spiega perfettamente un autore contemporaneo, E. Fuchs:

“Fra il desiderio e la sessualità si apre una via di umanizzazione nella quale la tenerezza, che è riconoscimento stupito dell’alterità dell’altro, dà significato al desiderio e il desiderio, forza di vita e dono di gioia, diventa sorgente di ogni tenerezza possibile”.[13]

Non è forse questo l’atteggiamento di fondo che emerge dall’insieme del Cantico dei cantici e dai suoi stupendi poemi nuziali?

Afferma papa Francesco:

Il rifiuto delle distorsioni della sessualità e dell’erotismo non dovrebbe mai condurci a disprezzarli o a trascurarli…

Ricordiamo che un vero amore sa anche ricevere dall’altro, è capace di accettarsi come vulnerabile e bisognoso, non rinuncia ad accogliere con sincera e felice gratitudine le espressioni corporali dell’amore nella carezza, nell’abbraccio, nel bacio e nell’unione sessuale(n.157)

 

Il testo lascia intravedere l’ABC della tenerezza: abbracci, baci, carezze.

Il contrario: TCC: televisione, computer, cellulare.

 

Sotto ogni profilo, dunque, l’AL presenta un visione estremamente positiva della sessualità.

Dio stesso ha creato la sessualità come un regalo meraviglioso per le sue  

creature” (n.150).

“Pertanto, in nessun modo possiamo intendere la dimensione erotica dell’amore come un male permesso o come un peso da sopportare per il bene della famiglia, bensì come dono di Dio che abbellisce l’incontro tra gli sposi” (n.152).

 

  1. La tenerezza nuziale come fecondità amante

 

Non meno interessante è il temadella fecondità.

“L’amore dà sempre vita. Per questo, l’amore coniugale ‘non si esaurisce all’interno della coppia […]. I coniugi, mentre si donano tra loro, donano al di là di se stessi la realtà del figlio, riflesso vivente del loro amore, segno permanente della unità coniugale e sintesi viva ed indissociabile del loro essere padre e madre’” (n.165, citando FC 96).

L’ALapre a una comprensione della fecondità nuziale più ampia rispetto alla sola fertilità. Secondo l’AL, la fecondità nuziale è:

  • generare la presenza di Dio nel coniuge;
  • generare il coniuge come persona amata;
  • generare i figli come dono concesso da Dio in affido ai genitori;
  • generare la famiglia come comunità in missione (“in uscita”).

 

4.1.         Generare la presenza di Dio nel coniuge.

 

La prima forma di fecondità nuziale è data dal generare la presenza di Dio nel partner e quindi nella relazione di coppia.

E tale è la vera fecondità , da ricercare, oltre la sola fertilità: far abitare Dio nel nel cuore della tenerezza di coppia, amandosi in Lui e rinnovandosi ogni giorno nel suo amore.

Fin dal momento in cui i due si sposano non sono soli; sono già in tre: è Dio che li ha condotti a incontrarsi e li consegna l’uno all’altra, come è avvenuto fin dall’origine.

Il sacramento delle nozze si fonda su questa consapevolezza: “Amandosi nel Signore gli sposi si donano Dio stesso; ed egli scende tra loro. La sua presenza inabita la co/presenza degli sposi”.[14]

Ecco dunque la prima fecondità: quando ognuno fa risplendere Dio nel volto del coniuge e, insieme, i due sposi vivono alla sua presenza, lo riconoscono e lo lodano con tutta la loro vita.

Quello che non riuscì a Adamo e Eva, è stato reso possibile da Cristo nella Chiesa. E tale è il “mistero grande” delle nozze (Ef 5,32).

4.2.         Generare il coniuge come persona amata.

 

Generare Dio nel vissuto nuziale è al tempo stesso un generarsi a vicenda: una generarsi come persone che si sentono reciprocamente amate e apprezzate.

La prima grande fecondità non è data dalla nascita dei figli, ma dalla nascita di quel “noi” in cui ognuna è unica per l’altra.

E tale è il primo neonato, quando ognuno si sente accolto dall’altro, si dona all’altro e insieme condividono il divenire “una sola carne”.

Lo Spirito Santo è effuso sugli sposi perché siano in grado di realizzare questa comunione di cuori, dove ognuno si percepisca al tempo stesso come amato-amante-amore per l’altro/a, analogamente a quanto avviene nel grembo di Dio-Trinità-di-Amore.

4.3.         Generare i figli come figli in affido.

 

Questa forma di generazione vale, in diverso modo, per i figli: relazionandosi con i genitori e i genitori con loro, tutti con/nascono insieme, in una relazione di reciprocità che fonda il loro diventare un “noi”, una “comunione di persone” a immagine di Dio-Trinità.

Alla sorgente della generazione di un figlio sta Dio: è Lui il Creatore e il Donatore che suscitata la vita nel grembo della madre in forza dell’atto di amore degli sposi.

I genitori sono “cooperatori con Dio in ordine al dono della vita a una nuova persona”, sono suoi “collaboratori” e “interpreti del suo amore”, ma i figli sono anzitutto figli di Dio (GS 50), come spiega il Catechismo della Chiesa Cattolica. “I genitori devono considerare i loro figli come figli di Dio” (CCC 2222).

I genitori non “fanno” i figli, come si usare dire, ma li ricevono da Dio-Trinità, come un miracolo di amore e un dono senzafine.

E dal momento che li ricevono, i genitori non sono padroni dei figli; ne sono i custodi, li accolgono come in affido, con il compito di proteggerli, difenderli, aiutarli a crescere, contribuire a far discernere la vocazione cui sono chiamati, ma non essi non possono pretendere un’autorità assoluta sulla loro vita.

Ogni figlio che nasce è una parola di Dio incarnata e un’icona vivente della sua eterna tenerezza.

Ciò dice, tra l’altro, l’assurdità dell’aborto:uccidere una vita è colpire il cuore stesso di Dio e presume di mettersi al di sopra di Lui.

4.4.         Generare la famiglia come comunità in missione.

 

La comunità familiare che nasce dalle prime tre forme di fecondità è una comunità in missione, chiamata a proclamare a tutti il dono di essere sposi nel Signore e il significato della vita.

Ogni vera fecondità deve condurre a generare Dio nei figli e a farli crescere secondo il suo cuore.

La Familiaris Consortio arriva a dire che solo per questa via i genitori “diventano pienamente genitori”:

“Pregando con i figli, dedicandosi alla lettura della parola di Dio e inserendoli nell’intimo del corpo eucaristico ed ecclesiale di Cristo con l’iniziazione cristiana, i genitori diventano pienamente genitori, generatori cioè anche di quella vita che scaturisce dalla pasqua di Cristo” (FC 39).

Ed è allora che la comunità familiare attua la sua ultima dimensione di fecondità nuziale: “generare” la civiltà della vita e dell’amore (LF 13), facendosi testimonianza vivente dell’amore trinitario sulle strade del mondo.

“La famiglia è l’ambito non solo della generazione, ma anche dell’accoglienza della vita che arriva come dono di Dio. Ogni nuova vita ci permette di scoprire la dimensione più gratuita dell’amore, che non finisce mai di stupirci” (AL 166).

Ora, se la fecondità è accoglienza della vita, anche quando la procreazionefisica (fertilità) non si realizzasse, per ragioni indipendenti dalla volontà dei coniugi, non per questo la vocazione alla fecondità perderebbe il suo significato.

Il Concilio Vaticano II e la Familiaris consortio, a titolo esemplificativo, indicano le direzioni verso cui può essere orientata una tale forma di fecondità, oltre la sola fertilità.

“Adottare come figli i bambini abbandonati, accogliere con benevolenza i forestieri, dare il proprio contributo nella direzione delle scuole, assistere gli adolescenti con il consiglio e con mezzi economici, aiutare i fidanzati, sostenere i coniugi e le famiglie materialmente e moralmente in pericolo, provvedere ai vecchi“(AA 11; FC 14).

La testimonianza vissuta di tante coppie sterili attesta a quali cime possa arrivare questo tipo di fecondità nuziale, anche quando non sia accompagnata dal dono di figli propri.

  1. La tenerezza nuziale come estetica spirituale dell’amore

Un’ulteriore coordinata dell’AL è l’ottica della bellezza: la tenerezza intesa come estetica spirituale dell’amore. “Tenerezza” e “bellezza” infatti sono inseparabili. Ha ragione Agostino quando scrive che: “Noi non possiamo amare nient’altro che ciò che è bello”[15]. E aggiunge: “Unicamente il bello può essere amato”[16].

La via della bellezza (via pulchritudinis) è la via propria, imprescindibile e strutturale, per l’esperienza della tenerezza.

L’esortazione di papa Francesco lo rileva sotto avari aspetti.

Al n. 127 rileva come

La bellezza – “l’alto valore” dell’altro che non coincide con le sue attrattive fisiche o psicologiche – ci permette di gustare la sacralità della sua persona senza l’imperiosa necessità di possederla…

La tenerezza è una manifestazione di un amore che libera dal desiderio egoistico di possesso… L’amore per l’altro implica il gusto di contemplare e apprezzare ciò che è bello e sacro del suo essere personale, e che ella esiste al di là dei miei bisogni”.

Al n.128 rilava il valore dello sguardo:

“L’esperienza estetica dell’amore si esprime in quello sguardo che contempla l’altro come un fine in se stesso, quand’anche sia malato, vecchio o privo di attrattive sensibili…

Molte ferite e crisi hanno la loro origine nel momento in cui smettiamo di contemplarci. Questo è ciò che esprimono alcune lamentele che si sentono nelle famiglie. “Mio marito non mi guarda, sembra che per lui io sia invisibile”. “Per favore, guardami quando ti parlo”. “Mia moglie non mi guarda più, ora ha occhi solo per i figli”. “A casa mia non interesso a nessuno e neppure mi vedono, come se non esistessi”. L’amore apre gli occhi e permette di vedere, al di là di tutto, quanto vale ogni essere umano”.

 

  1. La tenerezza nuziale come evento di carità teologale.

 

Il capitolo IV dell’AL è interamente dedicato all’amore nel matrimonio,

  • mostra come la grazia del sacramento del matrimonio sia indirizzata “a perfezionare l’amore dei coniugi” (n. 89)
  • e dice come la grazia trasfiguri gli sposi a immagine dell’amore divi, testimoniato da Paolo nel celebre inno alla carità (n. 90).

La carità è paziente,
benevola è la carità;
non è invidiosa,
non si vanta,
non si gonfia d’orgoglio,
non manca di rispetto,
non cerca il proprio interesse,
non si adira,
non tiene conto del male ricevuto,
non gode dell’ingiustizia
ma si rallegra della verità.
Tutto scusa,
tutto crede,
tutto spera,
tutto sopporta»
(1 Cor 13,4-7).

L’inno paolino è un programma che “si vive e si coltiva nella vita che condividono tutti i giorni gli sposi, tra di loro e con i loro figli. Perciò è prezioso soffermarsi a precisare il senso delle espressioni di questo testo, per tentarne un’applicazione all’esistenza concreta di ogni famiglia(AL 90).

Il documento di papa Francesco approfondisce il riferimento di ognuno di queste attitudini in relazione alla coppia/famiglia, dando vita a uno splendido capitolo di teologia spirituale della coniugalità.

Pazienza

Benevolenza

Guarendo l’invidia

Senza vantarsi o gonfiarsi

Amabilità

Distacco generoso

Senza violenza interiore

Perdono

Rallegrarsi con gli altri

Tutto scusa

Ha fiducia

Spera

Tutto sopporta.

Un vero trattato di spiritualità nuziale.

“L’inno di san Paolo, che abbiamo percorso, ci permette di passare alla carità coniugale. Essa è l’amore che unisce gli sposi, santificato, arricchito e illuminato dalla grazia del sacramento del matrimonio. È un’unione affettiva, spirituale e oblativa, che raccoglie in sé la tenerezza dell’amicizia e la passione erotica”(n.120).

“La tenerezza dell’amicizia e la passione erotica”: due dimensioni che caratterizzano in profondità l’amore nuziale secondo l’AL:.

1°. Amicizia tra gli sposi.

“L’amore coniugale è la ‘più grande amicizia’. E’ un’unione che possiede tutte le caratteristiche di una vera amicizia: ricerca del bene dell’altro, reciprocità, intimità, tenerezza, stabilità… che si va costruendo con la vita condivisa.

2°. Passione erotica.

Naturalmente “il matrimonio aggiunge a tutto questo un’esclusività indissolubile, che si esprime nel progetto stabile di condividere e costruire insieme tutta l’esistenza” (n. 123).

Nasce da questa dinamica (della tenerezza dell’amicizia e della passionalità) la comunità della famiglia come Chiesa domestica e segno profetico nel mondo:

“Il matrimonio cristiano, riflesso dell’unione tra Cristo e la sua Chiesa, si realizza pienamente nell’unione tra un uomo e una donna, che si donano reciprocamente in un amore esclusivo e nella libera fedeltà, si appartengono fino alla morte e si aprono alla trasmissione della vita, consacrati dal sacramento che conferisce loro la grazia per costituirsi come Chiesa domestica e fermento di vita nuova per la società” (n. 292).

Conclusione

Sotto ogni profilo la famiglia appare, nell’Amoris Laetitia, come una comunità della tenerezza di Dio, chiamata a farsi il luogo primario di tenerezza verso ogni essere che viene a questo mondo.

         Parlare di “parabola di tenerezza” significa riferirsi a tutto questo e dice la famiglia come un progetto di tenerezza da costruire giorno per giorno, posto tra il “già” il “non ancora”: un progetto già dato per grazia,ma da costruire con impegno giorno dopo giorno.

“Famiglia diventa ciò che sei” (FC 17)

Concludo facendo mie le parole del libro delle “Odi di Salomone”, risalente al terzo secolo, rivolte specialmente agli sposi:

“Amatevi con tenerezza voi che vi amate”.

L’autore non si limita a dire “amatevi”, ma ”amatevi con tenerezza”. La tenerezza costituisce il cuore di Dio-Trinità-di-Amore ed è il cuore di ogni famiglia. Una comunità familiare senza tenerezza sarebbe come un corpo senza anima.Faccio e parole dell’anonimo autore del terzo secolo e le rivolgo a tutti voi: “Amatevi con tenerezza voi che vi amate”. [17]

don Carlo Rocchetta